Settimanale, anno 16 - n. 40
Gio, 25 Aprile 2024

World in Music >> Da Parigi all'Europa dell'Est

Note in viaggio

Attratti da tutto quel che ha a che fare con il jazz manouche, anche definito jazz o swing gitano, il quartetto francese di origini slave Opus 4  ha suonato sui colli di Roma, al Monte Porzio Catone Etnica festival (12-27 luglio). Questa quarta edizione ha voluto promuovere la musica del mitico chitarrista gitano Django Reinhardt affidando all'associazione Django Jazz Tzigana l'organizzazione della seconda parte di questa manifestazione con lo scopo di promuovere la cultura zingara. Il jazz manouche, di cui la storia va di pari passo con quella del virtuoso Reinhardt che ne ha inventato lo stile, è stato il punto centrale della manifestazione.

Quando gli si chiede da quando suonano insieme, lo sguardo dei musicisti di Opus 4 si perde nel vuoto dei numerosi ricordi vissuti insieme: "suoniamo insieme da dodici anni circa, ma ci conosciamo da trent'anni" asserisce Serge Camps (chitarra, banjo e canto), il più disposto dei quattro a rispondere a qualche domanda. Gli altri, Piotr Sapieja (violino, violino stroh e canto), Bruno Ossola (contrabbasso e canto) e Pierre Procoudine-Gorsky (chitarra e canto), preferiscono restare in disparte a salutare gli altri musicisti presenti al festival programmando bevute nei bar del paesino. Questi quattro compari sono effettivamente dei bon vivants con la musica nel sangue che hanno deciso di unire i loro talenti nel 1997. Benché nati in Francia, tranne Sapieja, originario della Polonia, la loro musica è influenzata dalle sonorità dell'Est.

Alla domanda su come hanno acquisito questa lontana tradizione musicale, seguono un'alzatina di spalle noncurante ed un ghigno scherzoso: "queste influenze musicali ci sono state trasmesse dalla famiglia, dall'ambiente che frequentavamo; sa, siamo cresciuti con la musica, la comunità russa è molto attiva musicalmente parlando". Ed a leggere il loro percorso, si è colpiti dalla precocità e dalla naturalezza con la quale, tutti e quattro, hanno cominciato ad accompagnare musicisti e cantanti rinomati nell'ambiente gitano e slavo fin da ragazzi. Dopo tutte queste mescolanze il loro repertorio attinge naturalmente alle canzoni del folklore russo, rumeno e gitano, aggiungendoci un pizzico di jazz, swing e musica tradizionale francese, l'altro loro cavallo di battaglia, che arrangiano con accordi dell'Est Europa.
In questo ambiente sonoro creato con maestria spicca, soprattutto visivamente, uno strano strumento che ha attizzato la nostra curiosità. E' il turno del violinista di risponderci: "E' uno stroviol!". Davanti alle nostre facce perplesse Piotr Sapieja, molto opportunamente soprannominato dagli altri "il nervoso" per la sua maniera di far cantare il violino senza dargli tregua, aggiunge: "Era suonato nel diciannovesimo secolo in Romania e faceva parte del folklore dell'Europa centrale. Noi, il nostro lo abbiamo trovato da un antiquario e ci è sembrata una buona idea introdurlo nelle nostre composizioni perché ora non è più molto utilizzato".
Lo stroviol, o violino Stroh dal nome del suo inventore Matthias Augustus Stroh (1828-1914), è stato brevettato nel 1899. La sua cassa di risonanza è sostituita da una cassa rotonda che contiene una membrana di telefono rilegata ad un padiglione di tromba per aumentare la risonanza, secondo il principio del grammofono. Va suonato come un violino con un archetto e, all'epoca, era utile perché il suo suono così amplificato poteva essere percepito anche dai microfoni più deboli. Non ci sono molte testimonianze su questo strumento e non si sa quanti ne circolino attualmente, ma uno si trova di sicuro tra le mani degli Opus4 che ne fanno buon uso come ne testimoniano le loro performance live indiavolate. All'ultima domanda,
pour la route, sul significato del loro nome, Opus4, rispondono semplicemente che: "Era un nome facile da capire, senza connotazioni etniche" e che un altro nome più specifico li avrebbe etichettati troppo rapidamente impedendogli di suonare in tutto il mondo e a vari tipi di festival, cosa che invece fanno oltrepassando le barriere culturali e producendo una musica che si vuole specificatamente aperta alle sonorità del mondo intero.    

Lidia Falcucci