World in Music >> Da Parigi all'Europa dell'Est
Note in viaggio
Attratti da tutto quel che ha a
che fare con il jazz manouche, anche definito jazz o swing gitano, il quartetto
francese di origini slave Opus 4 ha suonato sui colli di Roma, al Monte Porzio Catone Etnica
festival (12-27 luglio). Questa quarta edizione ha voluto promuovere la musica
del mitico chitarrista gitano Django Reinhardt affidando all'associazione
Django Jazz Tzigana l'organizzazione della seconda parte di questa
manifestazione con lo scopo di promuovere la cultura zingara. Il jazz manouche,
di cui la storia va di pari passo con quella del virtuoso Reinhardt che ne ha
inventato lo stile, è stato il punto centrale della manifestazione.
Quando gli si chiede da quando
suonano insieme, lo sguardo dei musicisti di Opus 4 si perde nel
vuoto dei numerosi ricordi vissuti insieme: "suoniamo insieme da dodici anni
circa, ma ci conosciamo da trent'anni" asserisce Serge Camps (chitarra, banjo e
canto), il più disposto dei quattro a rispondere a qualche domanda. Gli altri,
Piotr Sapieja (violino, violino stroh e canto), Bruno Ossola (contrabbasso e
canto) e Pierre Procoudine-Gorsky (chitarra e canto), preferiscono restare in
disparte a salutare gli altri musicisti presenti al festival programmando
bevute nei bar del paesino. Questi quattro compari sono effettivamente dei bon
vivants con la musica nel sangue che hanno deciso di unire i loro
talenti nel 1997. Benché nati in Francia, tranne Sapieja, originario della
Polonia, la loro musica è influenzata dalle sonorità dell'Est.
Alla domanda su
come hanno acquisito questa lontana tradizione musicale, seguono un'alzatina di
spalle noncurante ed un ghigno scherzoso: "queste influenze musicali ci sono
state trasmesse dalla famiglia, dall'ambiente che frequentavamo; sa, siamo
cresciuti con la musica, la comunità russa è molto attiva musicalmente
parlando". Ed a leggere il loro percorso, si è colpiti dalla precocità e dalla
naturalezza con la quale, tutti e quattro, hanno cominciato ad accompagnare
musicisti e cantanti rinomati nell'ambiente gitano e slavo fin da ragazzi.
Dopo tutte queste mescolanze il loro
repertorio attinge naturalmente alle canzoni del folklore russo, rumeno e
gitano, aggiungendoci un pizzico di jazz, swing e musica tradizionale francese,
l'altro loro cavallo di battaglia, che arrangiano con accordi dell'Est Europa.
In questo ambiente sonoro creato con maestria spicca, soprattutto visivamente,
uno strano strumento che ha attizzato la nostra curiosità. E' il turno del
violinista di risponderci: "E' uno stroviol!". Davanti alle nostre facce
perplesse Piotr Sapieja, molto opportunamente soprannominato dagli altri "il
nervoso" per la sua maniera di far cantare il violino senza dargli tregua,
aggiunge: "Era suonato nel diciannovesimo secolo in Romania e faceva parte del
folklore dell'Europa centrale. Noi, il nostro lo abbiamo trovato da un
antiquario e ci è sembrata una buona idea introdurlo nelle nostre composizioni
perché ora non è più molto utilizzato".
Lo stroviol, o violino Stroh dal nome
del suo inventore Matthias Augustus Stroh (1828-1914), è stato brevettato nel
1899. La sua cassa di risonanza è sostituita da una cassa rotonda che contiene
una membrana di telefono rilegata ad un padiglione di tromba per aumentare la
risonanza, secondo il principio del grammofono. Va suonato come un violino con
un archetto e, all'epoca, era utile perché il suo suono così amplificato poteva
essere percepito anche dai microfoni più deboli. Non ci sono molte
testimonianze su questo strumento e non si sa quanti ne circolino attualmente,
ma uno si trova di sicuro tra le mani degli Opus4 che ne fanno buon uso come ne
testimoniano le loro performance live indiavolate.
All'ultima domanda, pour la route, sul
significato del loro nome, Opus4, rispondono semplicemente che: "Era un nome
facile da capire, senza connotazioni etniche" e che un altro nome più specifico
li avrebbe etichettati troppo rapidamente impedendogli di suonare in tutto il
mondo e a vari tipi di festival, cosa che invece fanno oltrepassando le
barriere culturali e producendo una musica che si vuole specificatamente aperta
alle sonorità del mondo intero.
Lidia Falcucci