Settimanale, anno 16 - n. 40
Gio, 25 Aprile 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 1. Brevi considerazioni sulla musica per film (Parte 1)

Un valore autonomo della musica per film non esiste poiché essa è inscindibile dall'immagine fotografica per cui è stata creata. Il Melodramma, la Canzone, la Sinfonia rappresentano la parte assoluta della musica. Qui la musica ha la supremazia totale ed ha un valore estetico a se stante. Mentre nel cinema, da sempre, essa occupa solo un posto secondario, subordinato all'immagine, così come tutti gli altri elementi quali il montaggio, la fotografia, la recitazione. Tutto deve concorrere all'unità del film. "Nel film, in quanto opera compiuta, la musica non sta al di fuori dei valori espressivi, ma concorre a creare, in modo a volte potente, quell'unità [...]"(Luigi Chiarini, "La musica nell'unità del film"). Intercorrono vari rapporti fra musica ed immagine, la natura delle due arti trova il modo di funzionalizzare l'apporto della musica. Essa è formata da vari elementi dei quali ciascuno può essere preponderante ed avere così finalità ed espressioni diverse: Il ritmo, la melodia, l'armonia e il timbro degli strumenti. Ognuno di questi elementi si adagia bene in particolari funzioni e situazioni. Quando è il ritmo a prevalere, avremo i movimenti euritmici della danza o della marcia; l'espressività del gesto è sottolineato dall'elemento melodico; l'armonia ed il timbro danno vita a degli stati d'animo particolari e si uniscono bene nell'evocazione di paesaggi.
Il cinema ha così a disposizione un'infinità di soluzioni per utilizzare   questo mezzo eccezionale d'espressione che è la musica. Da un sapiente impiego degli elementi che la costituiscono si può ottenere tutto ciò che l'immagine reclama per avere un giusto esito artistico. Tutto sta nella maestria del musicista cinemato­grafico che, insieme al regista, deve riuscire a creare un connubio funzionale tra mu­sica e immagine.
Non si tratta di supremazia di immagine o di musica, che la musica sia bella o brutta. Nel cinema l'unica cosa che conta è che essa sia funzionale all'immagine e che possa sfruttare al massimo le proprie potenzialità espressive.
In musica abbiamo un'orizzontalità (la melodia) ed una verticalità (l'armonia) del discorso musicale. Le due linee possono simultaneamente sovrapporsi, combinarsi, dando seguito ad un'infinità di soluzioni. Da questi movimenti nasce la struttura polifonica e contrappuntistica.
Nella musica per film vengono di solito usati gli accordi perfetti perché dànno una sensazione di sereno equilibrio. I registi li preferiscono perché quello che vogliono dalla musica è che sia orecchiabile e non disturbi l'azione filmica. E' per questo motivo che gli accordi imperfetti, le dissonanze, per lo più sono aborriti. La dissonanza, invece, se usata in maniera compiuta ed opportuna, può creare effetti molto profondi nello spettatore. Momenti di suspense, di atmosfere nebulose e sini­stre, situazioni allarmanti sono le migliori scene da sottolineare con dissonanze.
Il ritmo è un fattore importantissimo nella musica. Sia il suono che le immagini "devono fare i conti col tempo, con la successione degli eventi, col fluire del discorso." (Ermanno Comuzio, Colonna sonora. Dialoghi, musiche, rumori dietro lo schermo).Nel film il ritmo è dato dal montaggio che armonizza gli eterogenei ritmi interni che ogni sequenza ha in sé. Il ritmo della musica può creare con queste ultime una svariatissima tipologia di soluzioni, una grande dialettica di sincronia ed asincronia. Ci sono dei ritmi che appartengono alla natura, alle macchine, ai congegni e possono essere usati perfettamente nelle colonne sonore. Si può avere il rumore puro o quello riprodotto dall'orchestra, capace di ricreare ogni tipo di rumore o suono nella propria svariata gamma timbrica. Rumori e musica insieme sono capaci di una miriade di effetti.
In Roma, ore 11 ('52) di Giuseppe De Santis, per esempio, Mario Nascimbene, che ne è il musicista, crea una vera sinfonia per macchina da scrivere e orchestra. Individuato nella macchina da scrivere il protagonista principale di una scena, egli gli dà il ruolo di strumento solista nell'ambito dell'orchestra, sfruttando gli elementi sonori ritmico-timbrici più caratteristici: percussione dei tasti e dello spaziatore, suono del campanello ed effetto del carrello. Lo strumento, in sala registrazione, è suonato da un professore di S. Cecilia come se fosse un violino, un pianoforte. Si ottiene così un'incredibile suggestione di immagini. Il contatto efficace e preciso tra suono-rumore-immagine  ha qui una sintesi pressoché eccellente. Di estrema importanza risultano poi i timbri, i colori degli strumenti orchestrali. Ci sono alcune problematiche inerenti a questa scelta: di ordine estetico prima di tutto, ma anche di ordine economico. Di fatti, molti produttori chiedono al compositore di creare partiture per piccole orchestre, sempre perché nel budget di produzione sembra che la musica occupi gli ultimi posti. Quando il film ha una certa statura artistica, il produttore di solito si dichiara benevolmente disposto ad un'elar­gizione straordinaria. Ma per tutti gli altri film (commerciali?) l'idea di pagare una grande somma per quello che, in ultima analisi, è un "accessorio" non piace molto ai produttori più saggi ed avveduti. Ci sono compositori che, per loro gusto, basano la partitura su pochi strumenti, compositori a cui piace più la musica da camera che quella sinfonica. Di solito sanno sfruttare a pieno il colore timbrico di ogni strumento e lo inseriscono nel discorso filmico con successo.
Viene da chiedersi se tutti gli strumenti, indistintamente, siano adatti a musicare un film? Oggi, certo, con l'aumentare progressivo delle tecnologie di registrazione e di resa fonica, il problema di quali strumenti siano più adatti non esiste più. Ma fino agli anni '60 almeno ci sono delle classificazioni, delle "tabelle fonogeniche" che, per esempio, reputano sconsigliabile l'uso dei flauti, dei timpani, dei corni. Su queste tabelle "erano indicati minuziosamente i « gradi » di resa microfonica dei singoli strumenti e istruzioni per manipolare i timbri fra loro per una corretta « leggibilità » "( Ermanno Comuzio).
Oggi, quindi, tali problemi non hanno più ragion d'essere. Tutti gli strumenti, e insieme la loro fusione, sono resi chiaramente udibili dall'ormai digitale tecnica di registrazione. Rimane solamente un problema estetico, cioè quali strumenti siano migliori di altri nell'aderire compiutamente all'azione drammatica.

Gianluca Nicastro           (7.12.08)

Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro
La musica nel cinema del dopoguerra italiano