Settimanale, anno 16 - n. 40
Gio, 25 Aprile 2024

Sulla musica >> Parliamo di notazione musicale

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

La musica è nata insieme all’universo, ed esisteva già quando l’uomo ancora non era comparso su questo pianeta. L’uomo non l’ha inventata, quindi, ma semplicemente scoperta. Prima che un essere umano abbozzasse i primi tentativi di esprimersi musicalmente, lo avevano fatto gli uccelli, e prima ancora la natura stessa, con i suoni del vento tra le foglie, il canto del mare, ed addirittura il movimento dei pianeti intorno al sole, che avviene con velocità e frequenze che si accostano a quelle delle note musicali. L’astronomo Giovanni Keplero scrisse, nel 1619, un’opera intitolata Harmonices mundi, nella quale dimostrava la correlazione tra i rapporti delle orbite dei pianeti ed i rapporti delle frequenze delle note musicali.
Su questo interessante argomento si potrà tornare un’altra volta. Soffermiamoci invece sulla musica, e su come si fa per scriverla, in modo che una persona diversa dal compositore possa leggerla e suonarla o cantarla.
Se vogliamo insegnare una canzone a qualcuno, come facciamo? Ovviamente gliela cantiamo, e lo inviteremo ad imitarci. E’ il sistema utilizzato abitualmente dai maestri di coro, in particolare dei cori amatoriali, nei quali spesso la maggior parte dei coristi non sa leggere la musica. A tal proposito, esiste una diffusa ritrosia da parte di moltissimi nell’imparare questa cosa non molto difficile: persone che affrontano senza alcun timore complicati calcoli matematici, difficili concetti filosofici, lunghe dimostrazioni con tante formule, o che usano il computer ed i suoi programmi più complicati senza problemi, rimangono completamente bloccati di fronte ad un rigo musicale.
Torniamo quindi all’insegnamento di una canzone, ovvero di un motivo musicale, e supponiamo di non avere alcun contatto uditivo con la persona che deve imparare. Come faremo? Dovremo trovare un sistema per dettare alla persona i dati necessari per comprendere quali suoni dovrà emettere.
Quali sono questi dati? Per ogni suono, fondamentalmente sono tre: l’altezza del suono, o frequenza, la durata, e l’intensità, ovvero il volume sonoro. La quarta caratteristica del suono è il timbro (per esempio di un violino, un pianoforte, una tromba), ma per il momento la trascuriamo, perché assumiamo di parlare di una voce umana, maschile o femminile. Possiamo dire quindi alla persona di emettere un suono per esempio della frequenza di 500 vibrazioni al secondo, di farlo durare per due secondi, e di emetterlo ad un volume basso. Si noterà che i tre dati non sono della stessa natura: i primi due sono rigorosi e misurabili, il terzo è opinabile, perché per ogni persona il concetto di volume è diverso. Se volessimo essere rigorosi anche in questo, dovremmo dirgli di quanti decibel (unità di misura dell’intensità sonora) deve essere il suono, ed a questo punto possiamo immaginare quale sarebbe la sua reazione…

Pensate come sarebbe complicato e lungo scrivere la musica di una canzone in questo modo!
Per fortuna, gli esseri umani sono in generale pieni di inventiva, e nell’arco degli anni e dei secoli hanno trovato un sistema più conciso e sintetico di scrivere queste informazioni: qualcuno, molti anni fa, pensò di associare alle frequenze musicali un nome convenzionale. Per far questo, però, fu prima necessario selezionare un certo numero di frequenze, altrimenti i nomi sarebbero sati migliaia, per non dire milioni. Senza entrare nei dettagli di questo processo, che è stato lungo e faticoso, arriviamo al risultato finale: si parte da una frequenza che può essere emessa senza particolare impegno da qualunque voce maschile o femminile, e tutte le altre frequenze musicali sono legate ad essa da un rapporto particolare che diremo più avanti. Questa frequenza è quella di 440 oscillazioni al secondo, ed il suo nome convenzionale è “La” (inteso come nota musicale, non articolo). Prima e dopo esistono le altre frequenze, che da questo momento chiameremo “note”, e vengono chiamate “Do, re, mi, fa, sol, si”. Avremmo in questo modo sette note; ma l’orecchio umano è più esigente, ed a queste note ne sono state aggiunte altre cinque, per un totale di dodici. E’ molto importante inoltre far notare che i suoni aventi una frequenza doppia, quadrupla, ottupla, eccetera.  di un certo suono, hanno per il nostro orecchio caratteristiche simili. Così, il “la” di 440 vibrazioni al secondo ha un suono simile alla nota di 880 (doppio), 1760 (quadruplo) e così via. Ma anche delle note di frequenza più bassa, quindi quella di 220 oscillazioni al secondo (la metà), 110 (un quarto), ecc. Da questo momento, chiameremo il numero di vibrazioni al secondo Hertz, che è l’unità di misura fisica.
Tutti questi multipli si chiamano quindi “la”, come quello di 440 Hertz. Per distinguerli tra loro, aggiungiamo un semplice apice: quello di 110 Hertz si chiama La2, quello di 220 La3, quello di 440 La4, eccetera.
Risolto il problema di come chiamare in modo sintetico le frequenze musicali, cioè le note, rimane il problema di come scriverle, e di come aggiungere gli altri elementi (durata e volume).
Per scrivere le note, si usa uno schema formato da cinque righe equidistanti. Se usassimo la lingua italiana per definirlo, lo potremmo chiamare il “cinquerighe”: ma questo termine è poco elegante, ed allora come spessissimo si fa ricorriamo al greco antico. Cinque in greco si dice “Penta”, e rigo si dice “gramma”: il cinquerighe diventa il pentagramma, parola che talvolta basta a far cadere nello sgomento persone anche di elevata cultura, ma la cui origine come si vede è banalissima.
Il suono fondamentale dal quale deriviamo tutti gli altri è proprio il La4, quello di 440 Hertz. Tutti gli altri suoni sono multipli o sottomultipli ricavati da questo, e la loro frequenza si ottiene moltiplicando o dividendo 440 per un numero costante che è all’incirca 1,06 (per i più curiosi, questo numero è la radice dodicesima di 2, ed il suo valore più esatto è 1,059463094). Chi va ad ascoltare i concerti di musica sinfonica avrà notato che prima dell’esecuzione di ciascun pezzo uno degli orchestrali suona una nota, e subito dopo tutti gli altri strumenti partono con un’impressionante cacofonia di suoni: è l’accordatura degli strumenti, che serve in particolare per gli strumenti ad arco (ne parleremo in un prossimo articolo), che hanno un suono di frequenza variabile, e debbono quindi essere accordati in modo che le loro frequenze siano perfettamente allineate con quella di riferimento. Questa frequenza è appunto il La4, ed è per questo motivo che si usa la frase “Dare il La”, che significa dare l’intonazione.
Tornando alla scrittura delle note, prendiamo in esame il pentagramma, di cui abbiamo parlato più sopra: purtroppo per la facilità di esposizione, esistono diversi modi di usare questo schema, in funzione della frequenza delle note, per cui ci riferiamo a quello più conosciuto universalmente, quello con quella S un po’ elaborata scritta al principio, che serve ad identificare la posizione della nota Sol, e che viene chiamato “Chiave di violino”; si è deciso che questa importante nota di riferimento, cioè il La4, deve essere scritta tra la seconda e la terza riga del pentagramma partendo dal basso, e cioè nel secondo spazio. Le altre note vengono scritte più sopra le più acute e più sotto le più gravi, utilizzando sia gli spazi tra una riga e l’altra, sia le righe stesse.
Un esempio è utile per capire meglio:

Ora abbiamo capito come si fa ad indicare la frequenza di una nota, ovvero la sua “Altezza”. Ma non basta: per rendere completa l’indicazione di un suono, mancano ancora tre elementi, e cioè la durata, il volume, il timbro. Per quanto riguarda la durata, la soluzione è semplice: il pallino nero che indica la nota viene scritto nella stessa posizione, ma in un’altra forma che ne indica la durata, facendolo diventare bianco, oppure aggiungendo delle appendici in alto. Non ci dilunghiamo sull’argomento, che può essere approfondito su qualunque testo di teoria musicale.

Per quanto riguarda il volume ed il timbro, la cosa cambia aspetto: il volume è indicato in modo approssimativo con le definizioni pianissimo (pp), piano (p), mezzoforte (mf), forte (f), fortissimo (ff), e simili. Si tratta di indicazioni soggettive, che ciascuno interpreta a modo suo, ed in qualche caso non si sforza neanche di interpretare. Stiamo parlando comunque di un argomento che mescola la scienza all’arte; sarebbe altrettanto impossibile indicare la precisa tonalità di colore dei dettagli di una pittura.
Il timbro è quello dello strumento che l’autore ha deciso di utilizzare: il violino, il pianoforte, la tromba, la voce umana, ecc, ed è indicato in chiaro nel modo più semplice già nell’intestazione di quella che si definisce “Partitura”, cioè la traduzione grafica di un brano musicale.
E’ ovvio che a tutti questi dati è da aggiungere la maestria dell’esecutore, che con la sua sensibilità interpreta il desiderio dell’autore e trasforma i dati in un’esecuzione musicale.
La notazione musicale, quindi, non è altro che un metodo convenzionale per scrivere le frequenze musicali (note musicali); del tutto analogamente a quanto facciamo con l’alfabeto, che è un modo convenzionale di scrivere i suoni che produciamo quando parliamo. Sarebbe utile che chi legge senza difficoltà un testo scritto, e cioè praticamente tutti, sapesse anche identificare le note su un pentagramma, in particolare se ha velleità canore o musicali. E’ un esercizio culturalmente valido ed è anche suggestivo ed interessante.
Per completare il discorso, aggiungiamo che le note di frequenza tale da non poter essere scritte sulle righe o negli spazi del pentagramma sono scritte al di fuori, aggiungendo trattini di riga che simulano un’estensione del pentagramma ad un numero di righe molto maggiore, fino a diventare quindici righe e più. E’ questo quello che aggiunge difficoltà alla lettura, e richiede molto esercizio: ma per chi vuole semplicemente leggere una nota, questo non è un problema, perché non deve eseguirla, e può impiegare tutto il tempo necessario.

Inoltre, per facilitare la scrittura delle note, esistono altri tipi di pentagramma, con “chiavi” differenti, cioè con il riferimento di base della nota diverso, in modo che le note rientrino più o meno tutte nella zona di più facile lettura. La più utilizzata è la “chiave di basso”, che è sempre presente nelle composizioni per pianoforte (vedi esempio più sopra), e rappresenta la musica che viene suonata prevalentemente con la mano sinistra, cioè l’accompagnamento.
E’ chiaro che non abbiamo l’intenzione di scrivere un trattato sulla notazione musicale: vogliamo soltanto incoraggiare i restìi ad affrontare questo argomento, che è indubbiamente utilissimo per meglio comprendere ed ascoltare la musica.

Giovanni Vitagliano                      (21.12.08)