Settimanale, anno 16 - n. 40
Gio, 25 Aprile 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 1.2  Il cinema del dopoguerra e la musica (parte 5)

Oltre al neorealismo abbiamo, nel nostro dopoguerra, molti altri generi cinematografici che, nel bene o nel male, hanno una loro fisionomia e popo­larità. C'è il film comico di Totò che viene realizzato a bassissimi costi di produzione. Ad ovviare alle spese ci pensa proprio la figura macchiettista creata da Antonio de Curtis sulla quale è imperniato il genere. L'energia esplosiva di Totò non ha bisognò infatti di altro che di se stesso. La macchina da presa è del tutto passiva nel riprendere le scene dove Totò appare, l'intreccio è minimo, con una sceneggia­tura piena di gag, sfruttate a pieno dal personaggio. Una sorta di canovaccio di base sul quale Totò, grazie al suo corpo flessibile e alle sue infinite invenzioni e varia­zioni linguistiche, innesta un poderoso susseguirsi di azioni comiche. E' forse l'unico comico italiano a continuare e ad ereditare la lezione della Commedia dell'Arte cin­quecentesca. Nel dopoguerra egli rappresenta in qualche modo l'individuo in lotta per la sopravvivenza, sempre in contrasto con le istituzioni, in un atteggiamento caotico ed anarchico, ma del tutto privo di una coscienza di classe. Egli non è la classe in lotta con le Istituzioni e la Religione; egli è, invece, un individuo singolo che protesta solo per sé, è l'incarnazione tragicomica dell'uomo italiano del dopoguerra che non riesce ad integrarsi nella società, la quale cerca, da parte sua, di tenerlo nascosto. Solo ridendone la società può accettarlo, solo così può mantenere l'apparente ordine di razionalità e benessere che si è cucita addosso.
L'altro filone di grande popolarità è il genere melodrammatico. Si può dire che esso sia frutto di una commistione di generi, dal neorealismo alla tradizione lirica. Dal primo mutua la veridicità degli ambienti nei quali i personaggi si muovono, in modo tale che lo spettatore può identificarsi in pieno. Dall'opera lirica abbiamo l'altra faccia di questi film: l'espressione della passione. Infatti, i personaggi recitano inseriti in un contesto del tutto lirico; nulla vieterebbe ai personaggi di cantare invece che di recitare. Ma lo scopo è pressoché identico dato che lo spettatore riceve direttamente lo stimolo lirico che pervade i personaggi dell'opera lirica. La musica in questi film gioca una parte importantissima, poiché sottolinea tutto ciò che crea l'evolversi della tensione lirica. Gesti, parole, paesaggi ed ambienti risuonano tutti di un impeto lirico che genera quasi il grandeggiare della musica sulla visione. Come nell'opera lirica, appunto, in cui lo spettatore durante le arie non vede il personaggio ed il suo dramma, ma lo sente. I temi che sottendono a questi film sono sempre molto forti, capaci di trascinare e coinvolgere il pubblico in una identificazione pressoché totale. Amore, odio, morte e violenza: questi i sentimenti affrontati in tutta la loro drammatica unione nell'ambito umano. Dagli attriti  che produce il loro continuo intrecciarsi, respingersi nasce la visione di un destino cieco che il protagonista non può vincere. I personaggi vivono nel segno della rinuncia. L'unica speranza è rimandata al mondo ultraterreno, oppure in terra l'unica possibilità è la rinuncia alla vita (la clausura è un fattore ricorrente). Figura centrale è la donna che è vista sempre come peccatrice, con­dannata dalla società e anche da chi ama a non poter vivere una vita normale, ad esplicare in modo lineare i propri sentimenti. Nei film di Raffaello Matarazzo, il maestro del genere, si cerca di santificare la donna, si cerca di riscattarla dalle in­giustizie cui è sottoposta. Catene ('50), Tormento ('50) e I figli di nessuno ('51) costi­tuiscono la trilogia classica del genere, all'epoca campione d'incasso sensazionali. La coppia Nazzari-Yvonne Sanson è popolarissima, essi divengono gli attori mitici di questo genere ed entrano in profondità nell'immaginario del pubblico. Quando quest'ultimo perde questo tipo di cultura, a causa della trasformazione economica e industriale della società italiana, il genere melodrammatico cade. Se il genere melodrammatico raccoglie un grande successo verso la fine degli anni '40, il film lirico lo precede nei primissimi anni del dopoguerra. Naturalmente in questi film si dà grande importanza al fattore musica e canto. Il genere si pone direttamente come continuatore di una tradizione viva fin dall'anteguerra. Anzi, c'è da dire che sin dall'avvento del sonoro nasce la convinzione che il film avrebbe potuto divulgare le melodie più prestigiose, renderle del tutto "popolari" . Si pone, insomma, a diretto contrasto con l'elitario teatro lirico che è lo spettacolo aristocra­tico per eccellenza. Si pensa, così, d'affidare allo schermo l'educazione "al bel canto italiano" di tutto un popolo. Tra tutte le cinematografie del dopoguerra il film lirico è quello dove sono impiegati i più alti costi economici, proprio per regalare allo spettatore i fasti che fino ad ora sono stati prerogativa unica del teatro lirico. Si vuole continuare la vocazione di questo genere anche perché è il primo che individua un suo preciso pubblico, cioè, ha tutte le carte in regola per realizzare larghi successi commerciali. Non bisogna dimenticare, infatti, che la tradizione melodrammatica ottocentesca è così radicata nella cultura nazionale da assicurare ai produttori un sicuro trionfo. Si fanno così film come Il Barbiere di Siviglia ('46) di Mario Costa, Rigoletto ('46) , Il Trovatore ('49) , La signora delle camelie ('47) tutti di Carmine Gallone, maestro del genere, che sono trasposizioni filmiche della corrispondente opera lirica. Puccini, sempre di Gallone, Donizzetti di Camillo Mastrocinque si dedicano invece alla biografia romanzata di grandi compositori. I movimenti della macchina da presa cambiano spesso angolatura, si avvicinano e si allontanano da un personaggio o dalla scena per sottolinearne l'intento lirico, proprio come accade a teatro dove è lo spettatore ad avviare i vari punti di vista. Il montaggio in questi film, quindi, richiede una particolare maestria. Così G. P. Brunetta sottolinea questo valore: "I film d'opera sono testi esemplari del rispetto della grammatica e della sintassi cinematografica (l'applicazione delle regole del montaggio è da manuale) [...]".  Lo spettatore trova in questi film un'evasione dalle amarezze e dai dolori contingenti. Non dimentichiamo, infatti, che la guerra è appena terminata, la­sciandosi dietro tracce che sembrano impossibili da cancellare. Cantando, l'anima umana trova un rifugio sicuro nel regno della musica, si abbandona inconsciamente alle sue modulate e sinuose melodie, riesce a trascendere almeno per un momento la realtà grigia che la circonda.

Gianluca Nicastro            (08.03.09)