Settimanale, anno 16 - n. 39
Ven, 19 Aprile 2024

Sulla musica >> La canzone napoletana

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

La canzone napoletana: da canto popolare a romanza  
(parte prima)  

La canzone è uno dei tanti aspetti della musica, e come tale è universale: non dovrebbe avere quindi alcun senso parlare di canzone italiana o americana, romana o milanese, del Nord o del Sud. Eppure, quando si parla di canzone napoletana, chiunque capisce di cosa stiamo parlando: di un fenomeno culturale unico al mondo, conosciuto universalmente, e che ci fa subito pensare a melodie immortali che tutti almeno una volta nella vita hanno canticchiato, fischiettato o almeno ascoltato. Un esempio? 'O sole mio, tradotto addirittura in inglese, dove è stato ridotto ad un banale It's now or never, più o meno "Adesso o mai più", perdendo (è il caso di dirlo) il suo aspetto sfolgorante e luminoso per trasformarsi in un motivetto jazz.
La canzone napoletana ha origini antiche: il canto era l'unica possibilità di sfogo di chi doveva impegnare tutto il suo corpo nel lavoro. Rimaneva libera soltanto la bocca, e se vogliamo le orecchie, ed il canto era un sollievo per il corpo e per l'anima. La vita moderna ha eliminato anche questa possibilità, e nei seriosi uffici moderni l'unico suono che si può ascoltare è il trillo dei telefoni ed il rumore delle tastiere dei computer. Raramente è possibile sentire qualche motivetto sussurrato timidamente da alcuni irriducibili amatori, sottovoce per non infastidire i capi. Eppure, la canzone è nata così: da un naturale sfogo dell'anima, che ha dato corpo a motivi talvolta rimasti nella storia.
I primi esempi di canzone napoletana risalgono al lontano 1300, come testimoniano alcuni accenni di Giovanni Boccaccio nel suo periodo napoletano (1327-1339): ma addirittura si accenna ad alcuni canti di venditori ambulanti nel Satirycon di Petronio Arbitro, scritto quasi 2000 anni fa. Non è improprio questo accenno: se qualcuno prova a passare attraverso un mercato a Napoli, potrà ascoltare alcuni esempi di meravigliosa improvvisazione musicale nei venditori che decantano la loro merce. Ascoltate ad esempio il verso di quello che ripara i recipienti di coccio e gli ombrelli: la sua musicalità è sorprendente. "Concia tiane, concia ‘mbrelle!" Chi lo canta non è un cantante nel vero senso della parola, ma niente può essere definito canto più di questo verso melodioso, che la bravura del venditore sa colorire di aspetti sonori particolari. Per averne qualche esempio, provate a rivedere il film "L'oro di Napoli", ed avrete il piacere di ascoltare una Sofia (poi diventata Sophia) Loren ancora puramente napoletana e non ancora americanizzata mentre fa la pizzaiola.
Ma torniamo alla storia della canzone napoletana. Nel 1500, furono stampate per la prima volta alcune composizioni popolari definite Villanelle, scritte in dialetto napoletano. Villano in dialetto napoletano significa contadino, e quindi queste canzoni erano indubbiamente popolari. Gli autori non sono solamente napoletani, ma addirittura in questo genere si sono cimentati autori stranieri, tra cui celebre il Willaert, olandese. Anche a quei tempi, spesso era difficile ricordare i testi, che perciò in quell'occasione erano scritti e diffusi su foglietti volanti detti "copielle" (oggi forse li chiamerebbero pizzini).
Sorvolando su alcuni passaggi, nel 700 arriviamo all'opera buffa ed alla tarantella napoletana: anche in questo caso, l'aggiunta dell'aggettivo "napoletana" è d'obbligo, perché il fenomeno culturale è tipico del luogo.
Il periodo magico della canzone napoletana comunque parte dalla fine del 1800, con qualche sporadico annuncio a metà del secolo: l'era dei grandi brani va più o meno dal 1880 al 1940, attraversando due guerre mondiali. Dopo questo periodo, anche la canzone napoletana si modernizza e viene in un certo senso corrotta dalle tendenze del momento, fino a perdere man mano la sua peculiare identità. Al giorno d'oggi, ben poco distingue una canzone napoletana dalle altre, se non il dialetto in cui è cantata e qualche rara rimembranza dei temi dell'epoca d'oro.
Un motivo antesignano fu Ie te voglio bene assaie che è di una cinquantina di anni prima, ma già echeggia i temi classici e le fioriture armoniche e melodiche della canzone napoletana. Di questo semplice e romantico motivo è noto soltanto l'autore del testo, che non è propriamente un poeta, ma un ottico: ancora oggi il negozio di ottica della famiglia Sacco fa bella mostra di sé in via Domenico Capitelli, a pochi passi dalla storica piazza del Gesù.
Se analizziamo i testi delle canzoni napoletane, troviamo in moltissime di esse un tema ricorrente: l'amore. Ma è un amore particolare, perché nella gran parte delle canzoni rimane per qualche motivo impossibile o insoddisfatto. L'uomo e la donna che si amano sono separati forzosamente da eventi indipendenti dalla loro volontà.
Facciamo qualche esempio: nella bellissima canzone Voce ‘e notte un innamorato canta il suo amore alla donna che ama, ma è costretto a farlo da lontano, perché la donna è sposata! L'uomo le suggerisce di far finta di dormire, di non accostarsi alla finestra per non indurre in sospetto il suo sposo addormentato, e di ascoltare le parole con le quali lui le ricorda i tempi in cui erano innamorati. Perché un amore così puro non si è concluso con il matrimonio? Non lo sappiamo, ma ci rimane nell'anima il rimpianto per un amore perduto, per un destino ingrato.
Perfino nell'allegra canzone 'O surdato ‘nnammurato i due amanti sono costretti alla lontananza perché lui è sotto le armi per il servizio di leva: questa volta la separazione è dovuta soltanto alla lontananza, e si spera che alla fine avverrà il felice ricongiungimento. Potremmo continuare con questi esempi per molto, ma temiamo di annoiare il lettore.

Giovanni Vitagliano      (13.9.09)

La seconda parte de La Canzone Napoletana segue nel prossimo numero!