Settimanale, anno 16 - n. 39
Sab, 20 Aprile 2024

La Soffitta >> Giorgio Gaber, il cantante filosofo

Gruppi, dischi, storie e personaggi che hanno fatto la storia della musica!

Giorgio Gaber, il cantante filosofo  

Le canzoni sono formate da musica e parole, da un testo e da note musicali. E' una verità talmente ovvia e scontata che non sarebbe neanche necessario dirlo. Se lo diciamo, abbiamo un motivo: in moltissimi casi, il testo di una canzone ha scarsa rilevanza, e serve solo da appoggio alla musica, che costituisce la parte rilevante della canzone. Spesso queste benedette parole neanche le ricordiamo, e accenniamo al motivo con un "da da da da", o qualcosa di simile. Ma ci sono alcuni casi in cui il testo di una canzone è tutt'altro che secondario, ed anzi ne costituisce la parte più importante, perché esprime concetti non banali e che danno spunti di riflessione. E' il caso di molte canzoni di Giorgio Gaber, al secolo Gaberscik (padre oriundo sloveno), cantante milanese purtroppo sparito ad un età ancora giovanile per questo secolo, circa sessantaquattro anni, per il solito "male incurabile". Giorgio Gaber, classe 1939,  intraprese lo studio della chitarra per un motivo molto particolare, e che poco aveva a che fare con la musica: aveva subito un infortunio al braccio, e rischiava conseguenze gravi, per cui dovette impegnarsi in una costante attività motoria. E quale attività motoria poteva essere migliore del suonare uno strumento musicale, che univa l'utile al dilettevole?
Giorgio cominciò così quasi per caso a studiare la chitarra, e si appassionò talmente a questo strumento che in poco tempo diventò bravissimo.  Aveva appena quindici anni quando si esibì per la prima volta in un veglione di capodanno, riscuotendo addirittura un compenso. Tra l'altro, la cura aveva fatto bene anche al suo braccio, che ora funzionava perfettamente!
I progressi nel mondo dello spettacolo furono molto rapidi. Poco dopo la sua prima esibizione faceva già parte come chitarrista di un gruppo Jazz, "Ghigo e gli arrabbiati". E dopo appena altri due anni entrava a far parte del gruppo dei "Rock Boys" di Adriano Celentano, ed al pianoforte di questo gruppo sedeva un altro personaggio milanese ben conosciuto, Enzo Jannacci, quello di "Vengo anch'io, no, tu no!". Dopo un altro periodo brevissimo, appena un paio di anni, Giorgio Gaber diventò solista, e cominciò a produrre canzoni in proprio. Tra le tante ricordiamo Non arrossire, una dolcissima serenata d'amore, e Le strade di notte, una canzone romantica e suggestiva, dal testo breve ma pieno di sentimento e di pensieri. Cominciò ad apparire in televisione, dove si presentava sempre in modo semplice e modesto, poco appariscente, ma conquistando il pubblico con questo atteggiamento privo di ostentazione che nascondeva un grande contenuto interiore.
Già in questo periodo cominciano ad apparire alcune canzoni con testi decisamente poco usuali, diverse dalle consuete canzoni d'amore che costituiscono il novanta per cento della produzione leggera italiana. Per esempio, Trani a gogò, La ballata del Cerutti. Il primo brano descrive in modo pittoresco l'interno di un bar della Milano popolare di quei tempi, fermandosi su alcuni personaggi caratteristici, clienti abituali del locale. La parola "Trani" si riferisce alla città pugliese da cui provenivano i vini sfusi che venivano serviti a basso prezzo. E' un primo richiamo di Gaber alla realtà della vita quotidiana, con le sue piccole sofferenze e le sue miserie, in contrasto con il mondo dorato descritto in molte canzoni. Ancor più questa tendenza è mostrata nella Ballata del Cerutti, storia di un piccolo ladruncolo sfortunato che viene preso dalla polizia (la "madama", in gergo) al suo primo tentativo di furto di una lambretta. Per i suoi amici Gino è comunque un eroe (gli amici...dicevan che era un mago), e come tale verrà ricordato in futuro.
Gaber continua a scrivere canzoni per tutti gli anni '60, alternando quelle tradizionali a quelle innovative e svolgendo una grande attività in svariati campi dello spettacolo. Verso la fine del decennio scrive una canzone che fa quasi da preludio ai grandi temi sociali che tratterà dopo il 70, in quello che potremmo definire il suo secondo periodo (1970-2000). La canzone si intitola Come è grande la città, ed è una ironica esaltazione della bellezza e grandiosità della città rispetto alla pace silenziosa della campagna; in realtà, il senso della canzone è esattamente l'opposto, e parafrasa in qualche modo quello che Adriano Celentano dice nel "Ragazzo della via Gluck". In città tutti si affannano a correre, a divertirsi, a spendere nei negozi, dimenticando del tutto il vero senso della vita soffocato dalle lusinghe dell'apparenza luminosa, dalle automobili che sfrecciano veloci e sono "sempre di più, sempre di più, sempre di più!"
Dopo il 1970, Gaber abbandona il mondo della televisione e si dedica soprattutto al teatro, inaugurando uno stile che conserverà fino alla fine: un'aspra polemica contro tutti e nessuno, contro le ipocrisie del modo di vivere moderno, degli spettacoli, della pubblicità, della politica. Con la collaborazione di Sandro Luporini, suo amico e pittore, elabora testi teatrali per quello che definisce Teatro-canzone, e pubblica dischi tratti da questi spettacoli.  
Inizialmente, sposa la causa dei grandi movimenti del 1968, cercando di suscitare una coscienza collettiva contro gli aspetti peggiori e più retrivi della cultura prevalente di quegli anni. Questi temi sono enunciati in Il signor G, uno spettacolo da cui viene tratto un disco con lo stesso titolo. Dietro questa sigla così sintetica si nasconde chiaramente l'autore stesso, le cui iniziali di nome e cognome sono appunto la lettera "G".
Da menzionare tra le composizioni che si richiamano al Signor G quella intitolata Gioco di bambini, che Gaber recitò più volte durante alcune trasmissioni televisive, con qualche variante. E' un dialogo tra due bambini, uno figlio di ricchi e l'altro figlio di poveri: il primo, fiero dei suoi natali e della sua ricchezza, esalta i meriti di suo padre, mentre il secondo, non avendo assolutamente nulla da esaltare, risponde come può, parafrasando le stesse frasi. Nelle trasmissioni, alla fine il bambino ricco scacciava con disprezzo quello povero, con un "vattene via, poveraccio!".
In seguito, Gaber prende una strada tutta sua, lontana da qualunque movimento politico o culturale, e crea una nutrita serie di testi che denunciano le ipocrisie e le falsità della società. Sono i brani ai quali abbiamo accennato al principio, e che hanno reso Gaber una figura unica nel firmamento dello spettacolo. I temi trattati nelle sue canzoni sono i più svariati, e colpiscono tutti, senza distinzione politica.
Una di queste canzoni è Allora dai!, che comincia con una frase significativa: è una canzone di protesta che non protesta contro nessuno, anzi! Il testo enuncia diversi luoghi comuni fonte di proverbi e detti, che tutti conoscono ma pochi mettono in pratica: l'amicizia, il denaro, la guerra, il razzismo. L'amicizia è sacra, il denaro non dà la felicità, la guerra è una cosa da evitare, tutti gli uomini sono uguali....concetti bellissimi, ma che molto spesso rimangono parole vuote non accompagnate da un comportamento coerente. Magari quello che parla contro la guerra è un fabbricante di armi, e quello che disprezza il denaro è ricco sfondato!
Un'altra canzone molto significativa ed importante è Destra-sinistra, tirata polemica contro il vezzo di gran parte delle persone di etichettare i loro simili come simpatizzanti con questo o quel partito, di destra o di sinistra, a seconda dei loro atteggiamenti e delle loro preferenze. Vengono esaminati alcuni fatti banali della vita di tutti i giorni, attribuendoli ironicamente alla destra o alla sinistra. Per esempio: fare un bagno nella vasca è di destra, mentre farsi la doccia è di sinistra. Le scarpe da ginnastica sono di destra, ma se le portiamo sporche e slacciate siamo di sinistra...o per la verità siamo soltanto un po' scemi. E via cantando...
Le canzoni a tema sono moltissime, ed è impossibile citarle tutte. Ma vale la pena almeno di ricordare il particolare stile di Gaber, e riascoltare qualcuna delle sue canzoni con un orecchio particolare per le parole, mai inutili o insignificanti. Per finire, riportiamo quello che ha detto lo stesso Gaber parlando di sé in un'intervista del 92: è la migliore descrizione che si possa fare di lui e del suo talento.
"Io credo d'aver sempre avuto il privilegio di andare sul palcoscenico non solo a recitare e a cantare, ma anche a dire quello che penso. È un privilegio grosso che si è trasferito in spettacoli di un certo tipo. Perché c'è anche altra gente che scrive, sì, quello che sente, ma non quello che pensa. La sincerità del sentimento forse non diventa anche la possibilità del pensiero (...) è un grosso privilegio il poter andare lì e dire quello che pensi e rivedere se delle cose erano o no degli errori (...). Il pubblico che arriva è quanto di più disomogeneo possibile, mentre l'unione alla fine, è un'unione emotiva su una carica, su una voglia che è quella di vivere e di cambiare anche le cose." (Giorgio Gaber, da un'intervista pubblicata sul mensile "Blu" 1992).

Giovanni Vitagliano      (18.10.09)