Settimanale, anno 16 - n. 40
Mar, 23 Aprile 2024

Sulla musica >> LA MUSICA NEL CINEMA DEL DOPOGUERRA ITALIANO

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 2.1 (parte 11) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i "maggiori", fra tradizione ed innovazione  

Bellissima ('51) di Luchino Visconti; musica di Franco Mannino  

Subito, nei titoli di testa, si evince l'importanza che avrà la musica in questo film. Infatti, vediamo una vera e propria orchestra sinfonica (Orchestra del teatro dell'Opera diretta da Franco Ferrara) eseguire l'aria e coro "Non fate strepito, non fate strepito" dell' Elisir d'amore di Gaetano Donizetti, cantata dal Coro dell'Or­chestra della RAI. Quest'opera donizettiana informerà di sé tutto il film, legandosi a varie situazioni e a vari personaggi. Capiamo subito  che la musica si pone come punto realistico perché proveniente dalla pellicola, poiché ci troviamo negli studi di una Radio. Così, quando il direttore d'orchestra chiude il movimento, vediamo uno speaker (un giovanissimo Corrado) che dà un annuncio sensazionale, che poi rappre­senta l'argomento stesso del film: la "Stella Film"  cerca una bambina dai sei agli otto anni per un film. Appena terminato l'annuncio, la macchina da presa torna ad in­quadrare tutta l'orchestra che riprende, da dove aveva lasciato, il "Non fate strepito, non fate strepito", esplodendo insieme al coro in un fortissimo, proprio per dare larga enfasi alla magnifica notizia. E, con la continuità musicale che lega le immagini, vediamo, subito dopo, una massa di persone (sono tutte mamme con le loro bambine) accalcarsi davanti a Cinecittà.
La cosa interessante da notare è che quel "Non fate strepito, non fate strepito" si inserisce quasi come ammonimento nelle immagini che rimandano, al contrario, un gran fracasso, un vociare e strillare delle mamme impazienti di voler mostrare la loro "bellissima" al regista, ognuna delle quali è sicura che la scelta ricadrà sulla propria bambina. Lentamente, però, l'aria d'opera viene sommersa dalla calca e dallo strepitio, regalandoci un effetto molto struggente che ci dice quanto sia vano ed effimero un così disordinato dimenarsi, credendo veramente che la vita possa cambiare se il cinema aprirà le sue braccia; è sicuro che il cinema cambi in qualche modo la vita, ma certamente non in meglio: questo infatti sarà il messaggio e la morale di Bellissima.
In queste poche scene è mostrato realisticamente il potere che il cinema  e  la radio hanno sulla massa in quei tempi, potere ereditato, oggi, dalla diabolica televisione (si osservi l'effetto sconvol­gente che ha avuto un programma come Non è la RAI).
Ora ci troviamo all'interno degli studi, dove si svolgerà la prima prova di scelta da parte del regista Alessandro Blasetti. La sua entrata è aperta da una fanfara in tre che subito riconosciamo come melodia legata al personaggio dell'Elisir d'amore Dulcamara. La corrispondenza fra questo personaggio e il regista Blasetti è del tutto palese.
Sappiamo, infatti, che nell'opera di Donizetti la bella e capricciosa Adina respinge l'amore del buon e semplice Nemorino e si promette in sposa a Belcore, aitante ufficiale; con l'aiuto dell'elisir (che è in realtà del buon vino) procuratogli dal mago-ciarlatano Dulcamara, Nemorino riesce a superare la ritrosia dell'amata e a sposarla. Così, Blasetti è visto come un moderno Dulcamara, un venditore di illusioni che spaccia una preparazione magica (il cinema appunto) capace di prolungare la vita oltre i limiti ordinari e di renderla piacevole a tutti gli effetti. Ma se nell'Elisir d'amore la cosa riesce, nel film è mostrata tutta l'insensatezza di questa vana illusione con tutta l'amara ironia di cui Visconti è capace nel tracciare i limiti angusti dentro cui si muovono il cinema e i suoi personaggi. Ad avvertirci è proprio la melodia a fanfara che segue le tre tappe percorse da Blasetti, caratterizzandole timbricamente con strumenti diversi e denotando, di volta in volta, un significato differente. Quando egli si trova giù fra la folla abbiamo gli ottoni, a significare l'en­trata trionfale del personaggio che si muove fra di loro regalando sorrisi e carezze di onnipotenza; sul palco, ecco intervenire gli archi che hanno il compito di trasportarlo ancora più su, lontano dall'impotenza terrena, poiché egli è un mago e gli archi, tipicamente dal suono arioso e metafisico, sembrano innalzarlo sulle loro note; infine, quando tenta di calmare la folla, la melodia viene eseguita da uno scombinamento totale degli strumenti, ritmato dai tamburi che tipicamente sono da ritenersi terreni a tutti gli effetti, riportando Blasetti alla sua giusta posizione, cioè uomo tra gli uomini, e svelandoci in tal modo la sua vera natura di ciarlatano del ci­nema.

Gianluca Nicastro   (2.5.10)

Segue nel prossimo numero! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano