Sulla musica >> La Musica nel Cinema del dopoguerra italiano
Studi, tesi, riflessioni sulla musica
Capitolo 2.1 (parte 14) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i "maggiori", fra tradizione ed innovazione
Ildebrando Pizzetti
e Il Mulino del Po
Ildebrando
Pizzetti nasce a Roma il 20 settembre 1880; muore il 13 febbraio 1968. E' il
musicista più innovativo e completo del novecento italiano.
Fa
parte di quel gruppo di musicisti (Franco Alfano, Ottorino Respighi,
Gian Francesco Malipiero, Alfredo Casella) che, per essere nati tutti
intorno al 1880, sono generalmente indicati col nome di Generazione
dell'Ottanta.
Tali musicisti esercitano nei primi decenni del secolo scorso uno
sforzo imponente atto a far rivivere le tradizioni musicali italiane
nella consapevolezza di quella evoluzione verificatasi in Europa e
delle più avanzate acquisizioni del linguaggio musicale (la
dodecafonia di Arnold Schönberg e il neclassicismo "conservatore"
di Igor Stravinskij).
C'è
un forte atteggiamento critico nei confronti dell'invadente
melodramma sette-ottocentesco e delle sue degenerazioni che portano
al decadimento della musica strumentale e all'isolamento della
cultura musicale italiana.
Molto
importanti in tal senso appaiono i contributi di Pizzetti; con le sue
opere (Fedra, '11; Lo straniero, '30; L'assassinio nella cattedrale,
'58; Clitennestra, '65) egli tenta di recuperare una vocalità
arcaica (il canto gregoriano) di tipo schiettamente drammatico che
vuole distinguersi e distaccarsi nettamente dalla vocalità lirica
imperante. "Il gregoriano non si riduce in Pizzetti al
compiacimento estetizzante di qualche citazione, ma si fa spirito e
pervade tutta la sua opera come un sottile profumo." (Massimo
Mila)
A muovere la sua opera
è un alto ideale di dramma, identificato con la vita stessa, ma non
realisticamente intesa: una vita più alta di quella di ogni giorno,
nella quale ogni passione viene a convergere in una legge suprema ed
universale, quella dell'amore. Una sorta di ideale religioso ricopre
tutto il mondo e lo trascende fino a raggiungere uno stato ideale e
fortemente evasivo.
Per il cinema lavora solo quattro volte; il
rapporto con il nuovo mezzo non appare equilibrato, ma dominato da
incertezze, ambiguità, delusioni. Evidentemente, l'ideale
pizzettiano non riesce a congiungersi con la realtà cinematografica.
Nel 1914, il suo amico Gabriele D'Annunzio lo prega di scrivere
un accompagnamento per il kolossal Cabiria di Giovanni Pastrone.
Compone allora la Sinfonia del fuoco per baritono, coro e orchestra.
La seconda volta è nel 1937 per il film Scipione l'Africano di
Carmine Gallone. Poi nel 1941 commenta I promessi sposi di Mario
Camerini e, anche se questa volta la musica riesce ad inserirsi nel
tessuto drammatico del film, il Maestro resta nuovamente deluso. Il
suo ultimo incontro con l'odiato-amato cinematografo è nel 1949: Il
Mulino del Po di Alberto
Lattuada.
Anche
qui i risultati sono buoni, ma nuovamente la delusione del musicista
ha il sopravvento. In questa incomprensione reciproca si può leggere
quell'incapacità di accettare la subordinazione della musica,
subalternità che Pizzetti non può e non vuole ammettere per quella
che egli considera la più alta delle arti. Pizzetti non disprezza il
cinema, ma "il suo rigore gli faceva respingere tutto quanto (ed
è tanto) appartiene alla sfera della speculazione, del compromesso,
della concessione ai gusti meno nobili del pubblico. " (Ermanno
Comuzio)
Gianluca Nicastro (6.3.11)
Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano