Settimanale, anno 17 - n. 20
Mar, 3 Dicembre 2024

La Soffitta >> Rainbow Ffollies: Sallies Fforth plus...

Gruppi, dischi, storie e personaggi che hanno fatto la storia della musica!

Dopo la sbornia psichedelica della cosiddetta Summer of Love del 1967 la scena musicale internazionale non fu più la stessa: sulle orme del celebrato Sergente Pepe beatlesiano, ma anche di altri capolavori non meno geniali ed importanti ( l'esordio dei Pink Floyd di Syd Barrett, I Soft Machine, l'esordio dei Blossom Toes, Their Satanic Majesties degli Stones, il debutto di Jimi Hendrix Experience, After Bathing at Baxter's dei Jefferson Airplane, Younger Than Yesterday dei Byrds) la fantasia e la creatività non andarono, come sognato, al potere politico, ma si impadronirono delle menti di coloro che erano disposti ad osare e inclini a non avere barriere stilistiche.
In questo clima si inseriscono i
Rainbow Ffolly  e l'album di cui qui si parla Sallies Fforth, per anni rimasto uno degli artefatti più rari e ricercati dai collezionisti, vero e proprio oggetto misterioso, perduto nelle nebbie del tempo che fu.
I Rainbow Ffolly erano un quartetto britannico costituito dai fratelli Jonathan e Richard Dunsterville chitarristi e cantanti e compositori dei brani, dal bassista Roger Newell e dal batterista Stewart Osborn, nomi sconosciuti ora come allora, eppure ottimi musicisti, tutti provenienti dall'Istituto d'Arte della capitale britannica. Doti compositive fuori dal comune, ottima padronanza strumentale e vocale, arrangiamenti al di sopra della media e ispirazione proveniente dalle migliori band dell'epoca (chiarissima l'influenza degli Small Faces, dei Beatles del 1967, degli Who di Sell Out) senza mai plagiare o scopiazzare pedissequamente  nessuno, ma anzi diventando parte della stessa scena musicale permisero ai 4 di registrarsi i loro brani presso uno studio indipendente, i Jackson Recordings Studios, con la produzione dei fratelli Jackson al passo con i tempi e la fantasia dell'epoca.
Prese forma così un caleidoscopio di suoni, atmosfere e immagini musicali tra i più originali e impressionanti  del 1968. Armati del proprio bagaglio di canzoni e forti di una costante attività live, i 4 puntarono direttamente al top, si proposero alla Parlophone Records, l'etichetta dei Beatles. Gli stessi Fab Four li apprezzarono molto e furono messi sotto contratto, ma la storia finisce qui...il loro album dopo i primi positivi riscontri fu giudicato troppo strano, multiforme e dispersivo nella sua formula mulitigenere e la Parlophone incapace di trovare una collocazione e una strategia di marketing promozionale  decise di congelarlo temporaneamente in attesa di tempi più consoni. La band ingenuamente poco se ne preoccupò continuando ad esibirsi con successo in ogni angolo d'Inghilterra per molti mesi fino all'inevitabile scioglimento dovuto al mancato riscontro commerciale, alle tensioni crescenti con la Parlophone e alla consapevolezza di essere stati manipolati e poi caduti in disgrazia. Per chi ama il tipico Pop Psichedelico britannico di fine'60 sulla scia di Small Faces, The Move, Blossom Toes, Tomorrow, i Rainbow Ffolly saranno una splendida sorpresa e diventeranno irrinunciabile oggetto di piacevoli e ripetuti ascolti.
L'album apre in puro stile cockney alla Small Faces con tanto di ambientazione in aereo e scherzoso annuncio della band da parte di un finto comandante di bordo...sì, anche nel 2008, 40 anni dopo, siamo i benvenuti a bordo, inizia il viaggio nell'epoca delle chitarre e dei nastri mandati al contrario, dei coretti in paradiso, dei sitar sparsi qua e là tanto per gradire, delle atmosfere sognanti che rimandano al mondo incantato di Lewis Carroll e Alice in Wonderland. La malinconica storia narrata in Montgolfier ha i colori della favola che però dopo un minuto  ci trasporta all'interno di un'abbazia dove 4 voci perfettamente in sintonia intonano un madrigale in piena regola ...strano???No, geniale!
I'm so happy sposa cabaret e spirito vaudeville squisitamente britannico con un orecchio alla lezione surreale dei Bonzo Dog Doo Dah Band e la citazione di Itchicoo Park degli Small Faces. Drive My Car è uno svelto pastiche surf-beat.
Poi il vero capolavoro dell'album, senza esagerazione una delle canzoni d'amore più belle dell'intera storia del british rock
Goodbye è una stupenda ballata acustica che celebra la fine di un amore, è solo da ascoltare cosa riescono a comunicare una chitarra classica arpeggiata in stile bossa nova, un basso melodico e mai invadente, una voce che malinconicamente accarezza le parole di addio e cori a supporto del triste messaggero: magia allo stato puro. Si continua fra acide chitarre e sanguigni blues figli di Hendrix e Jeff Beck in Hey You, viaggi astrali alla Moody Blues in Labour Exchange con voci e parodie per non prendersi mai troppo sul serio, un'antica giga irlandese modernizzata  e resa ultra psichedelica dal gusto corrente in They'M, deviazioni in territorio  Dylaniano con swing e jazz in Come On Go fino al finale omaggio- parodia dei Beach Boys con replica dei loro tipici coretti da spiaggia lisergica in Go Girl. Il vero mistero della vicenda Rainbow Ffolly, al di là della reperibilità dell'album, tornato disponibile in CD da una decina di anni ad opera della benemerita  See For Miles, è come sia stato possibile che una band e un disco di tale staura e valore non siano assurti al successo in un'epoca in cui c'era ancora spazio in classifica per opere ben più ostiche e complesse -valga per tutti l'esempio dell'Incredibile String Band- dall'ottimo riscontro commerciale e di pubblico.
Ma ora tocca a voi: un'occhiata alla stupenda copertina, disegnata anch'essa-c'e' bisogno di dirlo??- da Jonathan Dunsterville vero artista a tutto tondo, una mano al portafoglio ..et voila'.... un cd in più nella vostra collezione, ma non un cd qualunque: le vostre orecchie, la vostra sete musicale e soprattutto il buonumore conseguente della vostra anima vi ringrazieranno per sempre.  

Andrea Angelini