Settimanale, anno 17 - n. 24
Gio, 2 Gennaio 2025

La Soffitta >> Gianni Meccia, il primo cantautore italiano

Gruppi, dischi, storie e personaggi che hanno fatto la storia della musica!

Nella lingua italiana (ma probabilmente anche nelle altre lingue) accade talvolta che un termine pronunciato occasionalmente sia immediatamente recepito da altri ed abbondantemente utilizzato, fino a diffondersi ed entrare a far parte del linguaggio comune.
La parola "cantautore" è appunto uno di questi termini; indica un artista che compone e canta egli stesso le sue canzoni. Ma l'origine prima di questo termine è dovuta a Gianni Meccia, e questa qualifica gli fu attribuita da Enzo Micocci, un dirigente della grande casa discografica RCA.
Gianni Meccia non ha cominciato come cantante, come si potrebbe pensare: spirito avventuroso, ad appena ventitré anni lasciò Ferrara, sua città natale, ed approdò a Roma con la fiera intenzione di avere successo come attore di varietà. Ma le cose non gli andarono molto bene, e per molto tempo dovette accontentarsi di piccole scritture, sebbene avesse provato sia alla radio che al cinema (la televisione era ancora agli albori, in quel periodo, ed esisteva in Italia un unico canale, che rimase tale per parecchio tempo).
Il suo approccio alla musica ha qualcosa di fiabesco: come racconta egli stesso, uno sconosciuto gli lasciò una chitarra in custodia, e, stranamente, non passò a riprenderla. Su questo episodio possiamo sbizzarririci in infinite congetture; che lo strumento fosse stato rubato, oppure che lo sconosciuto abbia dovuto partire in tutta fretta, o chissà cos'altro. Fatto sta che questo inaspettato regalo ha provocato una svolta decisiva nella vita del nostro Gianni Meccia. Non era del tutto nuovo ad esperienze musicali, perché veniva da una famiglia di musicisti, per cui cominciò a suonarla ed a tentare di comporre qualche brano; le esperienze non del tutto positive cha aveva fatto lo portarono a sfogare su quello strumento le sue frustrazioni, sotto forma di canzoncine  satiriche del tipo di quelle che oggi si possono ascoltare negli spettacoli di cabaret.  Fu così che nacque una canzone che inizialmente fece scandalo, e rischiò di cancellare per sempre Meccia come cantante, Odio tutte le vecchie signore.
Non sono molti a saperlo, ma l'accanimento contro le vecchie ha degli antichi precedenti, addirittura nel medioevo: Adrian Willaert, compositore fiammingo, scrisse un brano intitolato Vecchie letrose, e Francesco Corteccia, italiano, scrisse un altro brano intitolato Le vecchie per invidia sono pazze. Non sappiamo se Meccia si sia ispirato a questi due brani, ma indubbiamente le sue intenzioni erano puramente satiriche ed umoristiche. Tra l'altro, c'era un tentativo di attenuare il giudizio severo sulle vecchie signore in un passaggio che recitava "Ci sono delle vecchie signore che sono dei veri angeli di bontà ed a loro domando perdono". Fatto sta che questa canzone, eseguita per la prima volta nell'anno 1959 alla trasmissione "Il musichiere" condotta da Mario Riva, sollevò un'ondata di polemiche, al punto da escludere Meccia dalla televisione.
La carriera di Meccia sarebbe potuta finire qui, ma lui non si scoraggiò: saggiamente, decise di cambiare stile, pur mantenendo il tono ironico delle sue canzoni, e di scrivere qualcosa che non fosse offensivo per nessuno.
Così nacque un'altra canzone originalissima, Il barattolo; il cuore di un povero innamorato veniva paragonato ad un barattolo preso crudelmente a calci, come talvolta fanno i ragazzini simulando partite a pallone, e nella musica si sentiva il rumore di un barattolo che rotolava. L'accostamento è indubbiamente inconsueto, ma efficace: ci sembra di immaginare questo innamorato che si lascia maltrattare dalla sua bella senza avere il coraggio di opporsi. L'altra particolarità di questo brano è che l'arrangiamento musicale fu eseguito da un compositore non ancora famoso, ma che presto lo sarebbe diventato: Ennio Morricone. Meccia fu spinto a cantare questa canzone dal già nominato Enzo Micocci, ed è qui che nasce il termine "cantautore", coniato per l'occasione dallo stesso Micocci.
La canzone successiva è tutto l'opposto: stavolta l'innamorato è riconoscente alla sua ragazza che gli ha regalato un pullover, che lo fa sentire caldo come se lei fosse lì con lui. Il pullover, un oggetto inanimato, è diventato così un simbolo di amore, un legame di affetto tra un uomo ed una donna. Nel passato, ci sono stati altri oggetti che hanno simboleggiato l'amore (ricordiamo il celebre nappo d'oro del re di Tule), ma nessuno aveva pensato di fare una cosa simile per un banale capo di vestiario.
L'inventiva di Gianni Meccia traspare anche da altre canzoni delle quali lui non è l'interprete principale: queste canzoni sono cantate da altre stelle della musica leggera, come Mina (Folle banderuola) e Rita Pavone (Il plip). Sono motivi allegri e trascinanti, interpretati superbamente dalle due cantanti, ed in particolare Folle banderuola è ricca di piccole invenzioni musicali; Mina canta contemporaneamente il motivo principale ed un controcanto, quasi una specie di polifonia ed intercala il canto con uno strano verso, "piri-piri-pì-pì", un'altra novità che poi verrà imitata in altre canzoni.
Il periodo come cantante è abbastanza breve: già all'inizio degli anni sessanta diventa prevalentemente autore, con qualche discreto successo, ma molte delle sue iniziative discografiche non vengono particolarmente apprezzate. Fa eccezione un motivo di Carlo Pes, di cui Meccia scrive il testo insieme al suo intimo amico Jimmy Fontana, che s'intitola Il mondo. E' l'unico brano che diventerà famoso addirittura nel mondo (strana coincidenza con il titolo!). Il testo allude ad un amore finito, ed il protagonista sembra rendersi conto soltanto allora dell'esistenza del mondo intorno a lui, che continua a girare nonostante tutto, indifferente agli avvenimenti che continuano a succedersi, ma con la certezza che ad ogni notte seguirà sempre il giorno con la sua luce. Una speranza che il futuro possa essere sempre migliore, e che alla tenebra subentri sempre la luce.
Nella vita musicale di Gianni Meccia ci sono ancora due eventi importanti. Verso la fine degli anni sessanta, cambiando ancora una volta obiettivo, diventò un discografico e fondò una società chiamata "Pull", che ha dato vita ad un gruppo famoso che ancor'oggi è molto richiesto ed ascoltato: i "Cugini di Campagna", autori tra l'altro del celebre motivo Anima mia, un pezzo che è stato tradotto anche in inglese ed è stato interpretato da celebrità internazionali come Frank Sinatra.
L'altro evento è stata la creazione dei Superquattro, quattro cantanti più o meno coetanei (Meccia stesso, Jimmy Fontana, Nico Fidenco e Riccardo Del Turco). Le loro apparizioni in televisione avevano un forte richiamo nostalgico, come se fossero stati rappresentanti di un tempo ormai passato, e la loro esperienza si tramutava in un'intesa di grande qualità esecutiva. Forse quell'iniziativa avrebbe meritato di più, come ammette oggi anche lo stesso Meccia.
Al nostro cantautore non sono mancate esperienze all'estero. Tra tutte, meritano di esserne ricordate due, in Germania ed in Giappone. In Germania, il temperamento latino di Meccia si scontrò con la gelida efficienza teutonica; i tedeschi pretendevano che lui cantasse in tedesco con la pronuncia perfetta, cosa tutt'altro che facile. Si arrivò ad un pelo dall'annullare tutto, e solo il paziente intervento di Lilli Greco, un dirigente della RCA, riuscì a risolvere il problema: i tedeschi finirono con l'accettare una pronuncia approssimativa e la sessione fu fatta.
In Giappone, Meccia andò per una serie di spettacoli insieme a Gianni Morandi, Gianni Boncompagni ed altri (chissà perché tanti Gianni, vero?). Il pubblico giapponese reagisce in modo molto diverso da quello occidentale, e mancavano completamente le scene entusiastiche abituali in Europa e Stati Uniti. I figli del Sol Levante si limitavano ad applaudire educatamente alla fine di ogni canzone, e questo faceva soffrire molto gli artisti, che facevano di tutto per scuoterli, ma senza risultato. Alla fine ci riuscirono, e per loro fu una grande liberazione!
In conclusione, Gianni Meccia è un tipico rappresentante della genialità e creatività italiana che tutto il mondo ci invidia. E' passato attraverso tantissime esperienze, cambiando spesso e volentieri i suoi obiettivi, ma rimanendo sempre nel campo che gli era più congeniale, quello artistico. Ed ha sempre conservato il suo particolare stile garbato e intrigante, che dava a tutti i suoi spettatori la sensazione di rivedere un vecchio amico. Chi lo ha visto in televisione ricorderà il suo largo sorriso e la sua spontanea cordialità, priva degli atteggiamenti da divo di tanti suoi colleghi. In una recente intervista, lui stesso si è definito un artista mancato, ma siamo ben lieti di contraddirlo: non si può definire artista mancato uno che ha scritto parole e musica, ha creato colonne sonore di film, ha cantato, ha lanciato altri gruppi, si è reso sempre simpatico nonostante qualche scivolone iniziale. Nessuno più di lui merita l'attributo di artista completo.

Giovanni Vitagliano