Interviste >> Intervista a Ambrogio Sparagna
Nel panorama della musica popolare, Ambrogio Sparagna occupa un posto di assoluto primo piano, grazie a lunghi anni di ricerca appassionata e alla realizzazione di spettacoli suggestivi che ha portato in ogni parte del mondo. Di ritorno da una lunga tournée in America Centrale, lo incontriamo all'Auditorium di Roma tra una prova e l'altra della sua ultima fatica La Chiarastella in cui ha proposto i più famosi canti natalizi della tradizione italiana. Lo spettacolo, conclusosi recentemente con grande apprezzamento del pubblico, ha presentato un repertorio molto vario, incentrato sui canti tradizionali dell'Italia con particolare attenzione per le aree del Nord Est e dell'Oltre Adriatico (Istria e Dalmazia). Sparagna ci racconta del suo lavoro con l'entusiasmo e l'energia che lo contraddistinguono.
Quando è nato il suo interesse per la musica popolare?
L'interesse è sempre stato vivo, ma posso dire di aver iniziato ufficialmente a studiare musica popolare dal 1973 e da allora la ricerca è stata continua. Negli anni '70 c'era una grande attenzione per questo ambito, poi negli anni '80 e '90 si è assistito ad un calo. Da qualche anno a questa parte tutto è cambiato, c'è un ritorno alla tradizione e mi fa piacere che siano soprattutto i giovani a interessarsi di musica popolare.
Qual è l'obiettivo della sua ricerca?
Il mio lavoro è volto a coniugare lo studio del repertorio con lo spettacolo, una commistione di antico e moderno. Devo dire che le opere realizzate in questi anni mi hanno dato molta soddisfazione, perché il pubblico ha capito e gradito.
Ma la cultura popolare non rischia di essere considerata ‘superata'?
La cultura popolare non va intesa solo in senso conservativo. Deve essere uno studio delle origini e della tradizione che porti ad una rielaborazione moderna. E poi i canti popolari non hanno tempo, perché sono espressione dalla comunità. Si tratta di un patrimonio comune, seppur con delle varianti locali.
Sono molti i giovani coinvolti in questi progetti?
Sì e ne sono contento. Nel 1976 a Sessa Aurunca in un canto penitenziale polifonico maschile, tipico del periodo della Quaresima, erano rimasti solo 3 cantori. Oggi ce ne sono 20, perlopiù giovani. E' un evidente segno del cambiamento dei tempi.
Qual è il mio motivo di tanto interesse per l'antico?
Probabilmente i ragazzi hanno bisogno di autenticità, ecco perché ritornano alle origini.
Vi sono regioni italiane in cui la ricerca è particolarmente sentita?
L'interesse si riscontra ovunque, dal Nord al Sud, per non parlare delle isole, dove c'è sempre stata grande attenzione. In tutto il nostro Paese si cerca di valorizzare le minoranze etnico-linguistiche e le tradizioni. Molti giovani compiono le loro ricerche, studiano antichi strumenti musicali nei luoghi più disparati d'Italia e poi entrano in contatto tra loro, grazie anche a Internet, avviando un interessante scambio di idee. Per questo è nata l'Orchestra Popolare, che è un punto di attrazione, oltre che un motore per realizzare iniziative sia in Auditorium che altrove.
Come fare a mantenere vivo anche in futuro l'interesse per la musica popolare?
E' fondamentale educare i più piccoli ad avere curiosità e sensibilità per questo ambito, ecco perché in Auditorium realizziamo dei laboratori di canto per i bambini, che alla fine del percorso hanno l'opportunità di esibirsi insieme all'Orchestra Popolare.
Valeria Guidotti (18.1.09)