Settimanale, anno 17 - n. 18
Gio, 21 Novembre 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 1.2  Il cinema del dopoguerra e la musica (parte 3)
Il neorealismo è un fenomeno prevalentemente metropolitano. E' nella città  che la sua particolare "atmosfera" trova un grande riscontro di pubblico, molto più che nelle provincie. Nonostante esistano film che testimoniano la presenza della campagna, c'è sempre un elemento che riporta alla grande città. Bisogna ricordare che il fascismo fa della campagna e della sua vita rurale uno dei suoi miti più impor­tanti. E' così che la nuova cultura, i nuovi intellettuali del dopoguerra spostano il ba­ricentro dalla campagna alla città, segno indiscutibile dei tempi nuovi. E' sempre qui che "si formano i gruppi di militanza neorealistica attorno a riviste o a film più o meno collettivi mentre la provincia ([...]) resta francesista, americanista, più sensi­bile al bello che al nuovo."  Si pensa che i segni lasciati dalla storia si rivelino più nella città che nella campagna. Quest'ultima è quasi come se non partecipi ugualmente delle conseguenze della guerra, come se fosse rimasto un luogo immutato. Nei film di Giuseppe De Santis, invece, il paesaggio rurale trova il suo riscontro documentarista. Tutto risulta distrutto, mancano gli studi, i produttori ed i mezzi. E' così che il neorealismo sceglie, come propria casa, l'aperto delle strade. Si realizza il primo vero stacco dalla convenzione passata più per necessità che per volontà estetica. "Tipico problema della realtà « neorealista » (Totò cerca casa), quello della casa in cui stare è anche il problema del cinema italiano del dopoguerra."

Un nuovissimo modo di concepire la realtà come semplice e nudo documento, attraverso film girati fuori dai teatri di posa, sui luoghi stessi dell'azione, con attori presi direttamente dalla strada. Come afferma Gian Piero Brunetta nella sua Storia del cinema italiano: "Non può non colpire, [...], la sproporzione tra l'azzeramento delle strutture produttive e la presenza di energie, che, pur diverse, e assai fragili, intendono contribuire, in modo unitario, alla ripresa." Certamente è proprio questa mancanza di mezzi materiali che prefigura la necessità di girare comunque, di testimoniare assolutamente di una situazione storica ed umana drammatica, con i po­chissimi mezzi a disposizione. E' questa necessità a far sì che le volontà dei singoli individui si potenzino a tal punto da generare e  creare dei capolavori partendo dal nulla, dalle macerie. Bisogna dire che non si tratta proprio di un miracolo, poiché ad assicurare la realizzazione materiale dei film ci sono molti tecnici attivi nell'anteguerra e, cosa non secondaria, è disponibile una parte cospicua di pellicola, salvata dall'intervento partigiano durante la guerra. Tutti gli altri problemi che una produzione comporta sono ovviati nei più svariati modi. La macchina da presa, intesa come mezzo capace di catturare in maniera totale la realtà intera, a tutti i suoi livelli, testimonia direttamente di una società in divenire. L'assunto principale è la contemporaneità, la priorità assoluta va al presente ed al quotidiano. Per ora sembra non esserci posto per una rivisitazione del passato recente. Registi di origine e provenienza diversa vengono a condividere una stessa idea di "dover essere" nei confronti della realtà. Rossellini, De Sica, Visconti, Lattuada, Germi, De Santis contribuiscono realizzando film di eccezionale portata umana e sociale, senza mai indulgere all'artificio e a tutto ciò che si allontani dalla schietta e nuda realtà. Il neorealismo si pone come parallelo convergere di istanze morali, sociali, politiche e civili,  seppur differenti, sotto la grande spinta dell'antifascismo che omogeneizza il tutto sublimandosi in un'unità che vive di moto proprio. Importante è l'opera di dissodamento e sprovincializzazione culturale, svolta da Umberto Barbaro e Luigi Chiarini al Centro Sperimentale e dalle riviste Bianco e Nero ('37) e Cinema ('36) cui collaborano futuri registi e sceneggiatori (Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Gianni Puccini, Antonio Pietrangeli), per non dire degli altri che si formano nell'irrequieto ambiente culturale milanese (Alberto Lattuada, Dino Risi, Luigi Comencini). Non sono da trascurare poi le influenze straniere: verismo francese, cinema sovietico (in De Robertis e De Santis), la narrativa americana, frequentata sulla scia di Elio Vittorini, Cesare Pavese, Mario Soldati.
Gianluca Nicastro                 (22.2.09)