Settimanale, anno 17 - n. 18
Gio, 21 Novembre 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica


Capitolo 1.2  Il cinema del dopoguerra e la musica (parte 4)

L'uomo di punta, il regista più originale del neorealismo, è
Roberto Rossellini che lo apre con Roma, città aperta ('45); egli fa raggiungere i risultati più alti con Paisà ('46) e Germania anno zero ('47) ed è il primo ad allontanarsene per proseguire un suo discorso di carattere più privato, psicologico, etico che sociale. Oltre alla trilogia della guerra di Rossellini, si possono collocare tra le opere maggiori del cinema neorealistico almeno tre film di Vittorio De Sica, scritti dal suo sceneggiatore Cesare Zavattini (Sciuscià, '47; Ladri di biciclette, '48; Umberto D., '52) e di Visconti (La terra trema, '48 e Bellissima, '51). Ma più che stabilire una gerarchia di valori, si possono indicare le varie forme che il neorealismo assume: la polemica sociale in cadenze di melodramma popolare di Giuseppe De Santis (Riso amaro, '50; Roma, ore 11, '52); la polemica moralistica di costume di Luigi Zampa (Vivere in pace, '46; L'onorevole Angelina, '47); il bozzettismo proletario in chiave di commedia di Renato Castellani (Sotto il sole di Roma, '48; Due soldi di speranza, '50); la favola populista di Miracolo a Milano ('50) di Zavattini-De Sica; l'eclettismo letterario di Alberto Lattuada (Il Bandito, '46; Senza pietà, '48).
Delimitare l'arco di sviluppo del cinema neorealista è una convenzione. Si può dire, comunque, che quest'arco vada dal '45 al '52, da Roma, città aperta a Umberto D.. Il cinema neorealista va presto in
crisi, in una irreversibile involu­zione, per cause interne ed esterne.
Tra
le cause interne c'è l'insufficiente retroterra culturale. Le nuovi correnti di pensiero che cominciano a circolare nel dopoguerra sono il marxismo, l'esistenzialismo, la sociologia, la psicoanalisi. Del primo le tracce sono poche; degli altri movimenti quasi nulla. La stessa poetica di Zavattini, il teorico più originale del neorealismo, fa in modo che il rifiuto del personaggio per la ricerca dello "uomo vero", l'immersione nella cronaca e il rifiuto della fantasia portino gli autori a di­menticarsi della storia, a essere incapaci di cogliere e rappresentare i rapporti dialet­tici tra le varie componenti della realtà. Dalla cronaca si passa al bozzetto, dalla realtà al pittoresco, dalla schiettezza al colore locale, dall'impegno sociale al folklore e al teatro dialettale, splendore e miseria dello spettacolo italiano.
I fattori esterni di questa crisi sono da ricercarsi nei suoi rapporti problematici e conflittuali con lo Stato. Dopo il '48, con la venuta al potere del governo democristiano, nascerà una vera e propria censura tesa ad ostacolare in tutti i modi un tale tipo di cinema. Con Andreotti, in un certo senso, nasce la vera e propria censura, una censura incredibilmente organizzata che trova le sue vere origini nelle ragioni "industriali". Di fatto, forse nemmeno nel passato regime fascista c'era mai stato un blocco di questo tipo, così per non palesare l'immagine repressiva del regime dittatoriale, che cercava in tutti i modi di compiacere gli intellettuali. Andreotti ed il suo governo dipendono decisamente dall'alleato americano, pronto a scaricare nel nostro mercato tonnellate di film hollywoodiani. E' così che il nostro miglior cinema, destinato ad avere cultori in tutto il mondo, sarà licenziato dallo Stato. I premi go­vernativi, che ricordano tanto il beneficium medievale, andranno tutti ai più brutti ed evasivi filmetti invece di incoraggiare la via della verità. Il motto andreottiano "meno stracci, più gambe" sarà la causa principale della fine impietosa del nostro miglior cinema. E non si può certo dire che le forze di sinistra facciano qualcosa di positivo per salvarlo. Tutto quello che dopo il '48 la critica e gli intellettuali progressisti continuano a fare per il neorealismo non ottiene altro che un carezzevole prolungamento di un'agonia già in atto ed irreversibile. Mentre è nel suo primo apparire, nell'immediato dopoguerra, che i comunisti dovrebbero fare del genuino neorealismo il proprio veicolo culturale e propagandistico, teso a frenare e ad arginare la superiorità della cultura cattolica.
"Il Neorealismo, che poteva rappresen­tare uno dei grimaldelli possibili, e non il meno efficace, per forzare l'egemonia cul­turale cattolica nel paese, fu malamente difeso fino a quando il ritardo non si rivelò ormai incolmabile, e i giochi censori ormai conclusi.". Non dimentichiamo che il consenso cattolico radicato nella popolazione è estremamente profondo; iniziato nel ventennio fascista, aumenta dopo la guerra per gli aiuti morali e materiali che la Chiesa e Pio XII offrono. In questa dinamica bisogna inserire il PCI che sembra non avere possibilità di riscatto. L'unica è offerta sul piano culturale e proprio da quel primo neorealismo che, tra tutte le forme d'arte presenti all'epoca, è quello più imponente. Ma i comunisti non sanno servirsene e  se da una parte combattono la censura materiale di Andreotti, dall'altra ne impongono una di tipo intellettuale col loro "realismo socialista". Ame­rica e Unione Sovietica, insomma, si contendono il nostro cinema e contendendoselo ne uccidono la primaria e genuina spinta poetica.

Gianluca Nicastro           (1.3.09)


Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro
La musica nel cinema del
dopoguerra italiano