Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano
Studi, tesi, riflessioni sulla musica
Capitolo 1.2 Il cinema del dopoguerra e la musica (parte 5)
Oltre
al neorealismo abbiamo, nel nostro dopoguerra, molti altri generi cinematografici che, nel
bene o nel male, hanno una loro fisionomia e popolarità. C'è il film comico di Totò che viene realizzato a
bassissimi costi di produzione. Ad ovviare alle spese ci pensa proprio la
figura macchiettista creata da Antonio de Curtis sulla quale è imperniato il
genere. L'energia esplosiva di Totò non ha bisognò infatti di altro che di se
stesso. La macchina da presa è del tutto passiva nel riprendere le scene dove Totò
appare, l'intreccio è minimo, con una sceneggiatura piena di gag, sfruttate a
pieno dal personaggio. Una sorta di canovaccio di base sul quale Totò, grazie
al suo corpo flessibile e alle sue infinite invenzioni e variazioni
linguistiche, innesta un poderoso susseguirsi di azioni comiche. E' forse
l'unico comico italiano a continuare e ad ereditare la lezione della Commedia
dell'Arte cinquecentesca. Nel dopoguerra egli rappresenta in qualche modo
l'individuo in lotta per la sopravvivenza, sempre in contrasto con le
istituzioni, in un atteggiamento caotico ed anarchico, ma del tutto privo di
una coscienza di classe. Egli non è la classe in lotta con le Istituzioni e la
Religione; egli è, invece, un individuo singolo che protesta solo per sé, è
l'incarnazione tragicomica dell'uomo italiano del dopoguerra che non riesce ad
integrarsi nella società, la quale cerca, da parte sua, di tenerlo nascosto.
Solo ridendone la società può accettarlo, solo così può mantenere l'apparente
ordine di razionalità e benessere che si è cucita addosso.
L'altro
filone di grande popolarità è il genere melodrammatico. Si può dire che esso sia frutto
di una commistione di generi, dal neorealismo alla tradizione lirica. Dal primo
mutua la veridicità degli ambienti nei quali i personaggi si muovono, in modo
tale che lo spettatore può identificarsi in pieno. Dall'opera lirica abbiamo
l'altra faccia di questi film: l'espressione della passione. Infatti, i
personaggi recitano inseriti in un contesto del tutto lirico; nulla vieterebbe
ai personaggi di cantare invece che di recitare. Ma lo scopo è pressoché
identico dato che lo spettatore riceve direttamente lo stimolo lirico che
pervade i personaggi dell'opera lirica. La musica in questi film gioca una
parte importantissima, poiché sottolinea tutto ciò che crea l'evolversi della
tensione lirica. Gesti, parole, paesaggi ed ambienti risuonano tutti di un
impeto lirico che genera quasi il grandeggiare della musica sulla visione. Come
nell'opera lirica, appunto, in cui lo spettatore durante le arie non vede il
personaggio ed il suo dramma, ma lo sente. I temi che sottendono a questi film
sono sempre molto forti, capaci di trascinare e coinvolgere il pubblico in una
identificazione pressoché totale. Amore, odio, morte e violenza: questi i sentimenti
affrontati in tutta la loro drammatica unione nell'ambito umano. Dagli
attriti che produce il loro
continuo intrecciarsi, respingersi nasce la visione di un destino cieco che il
protagonista non può vincere. I personaggi vivono nel segno della rinuncia.
L'unica speranza è rimandata al mondo ultraterreno, oppure in terra l'unica
possibilità è la rinuncia alla vita (la clausura è un fattore ricorrente).
Figura
centrale è la donna che è vista sempre come peccatrice, condannata dalla
società e anche da chi ama a non poter vivere una vita normale, ad esplicare in
modo lineare i propri sentimenti. Nei film di Raffaello Matarazzo, il maestro del genere, si cerca
di santificare la donna, si cerca di riscattarla dalle ingiustizie cui è sottoposta. Catene ('50), Tormento ('50) e I figli di nessuno ('51) costituiscono la trilogia
classica del genere, all'epoca campione d'incasso sensazionali. La coppia Nazzari-Yvonne
Sanson è
popolarissima, essi divengono gli attori mitici di questo genere ed entrano in
profondità nell'immaginario del pubblico. Quando quest'ultimo perde questo tipo
di cultura, a causa della trasformazione economica e industriale della società
italiana, il genere melodrammatico cade.
Se
il genere melodrammatico raccoglie un grande successo verso la fine degli anni
'40, il film lirico lo precede nei primissimi anni del dopoguerra. Naturalmente in questi
film si dà grande importanza al fattore musica e canto. Il genere si pone
direttamente come continuatore di una tradizione viva fin dall'anteguerra.
Anzi, c'è da dire che sin dall'avvento del sonoro nasce la convinzione che il
film avrebbe potuto divulgare le melodie più prestigiose, renderle del tutto
"popolari" . Si pone, insomma, a diretto contrasto con l'elitario
teatro lirico che è lo spettacolo aristocratico per eccellenza. Si pensa,
così, d'affidare allo schermo l'educazione "al bel canto italiano" di
tutto un popolo. Tra tutte le cinematografie del dopoguerra il film lirico è
quello dove sono impiegati i più alti costi economici, proprio per regalare
allo spettatore i fasti che fino ad ora sono stati prerogativa unica del teatro
lirico. Si vuole continuare la vocazione di questo genere anche perché è il
primo che individua un suo preciso pubblico, cioè, ha tutte le carte in regola
per realizzare larghi successi commerciali. Non bisogna dimenticare, infatti,
che la tradizione melodrammatica ottocentesca è così radicata nella cultura
nazionale da assicurare ai produttori un sicuro trionfo. Si fanno così film
come Il Barbiere di Siviglia ('46) di Mario Costa, Rigoletto ('46) , Il
Trovatore ('49) , La signora delle camelie ('47) tutti di Carmine Gallone, maestro del genere, che sono
trasposizioni filmiche della corrispondente opera lirica. Puccini, sempre di
Gallone, Donizzetti di Camillo Mastrocinque si dedicano invece alla biografia
romanzata di grandi compositori. I movimenti della macchina da presa cambiano
spesso angolatura, si avvicinano e si allontanano da un personaggio o dalla
scena per sottolinearne l'intento lirico, proprio come accade a teatro dove è
lo spettatore ad avviare i vari punti di vista. Il montaggio in questi film,
quindi, richiede una particolare maestria. Così G. P. Brunetta sottolinea
questo valore: "I film d'opera sono testi esemplari del rispetto della
grammatica e della sintassi cinematografica (l'applicazione delle regole del
montaggio è da manuale) [...]". Lo spettatore trova in questi film un'evasione dalle amarezze
e dai dolori contingenti. Non dimentichiamo, infatti, che la guerra è appena
terminata, lasciandosi dietro tracce che sembrano impossibili da cancellare.
Cantando, l'anima umana trova un rifugio sicuro nel regno della musica, si
abbandona inconsciamente alle sue modulate e sinuose melodie, riesce a
trascendere almeno per un momento la realtà grigia che la circonda.
Gianluca Nicastro (08.03.09)