Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano
Studi, tesi, riflessioni sulla musica
Capitolo 1.2 Il cinema del dopoguerra e la musica (parte 6)
Per quanto riguarda la musica e la sua funzione nel cinema, l'Italia è già attiva durante l'epoca del muto. Abbiamo parlato della cosiddetta musica d'atmosfera alla quale normalmente i musicisti si affidano per l'accompagnamento dei film muti. Ebbene, colui che per primo dà una certa organizzazione a questi fogli di repertorio, è un italiano: Giuseppe Becce. Egli va in Germania per perfezionarsi negli studi musicali e qui comincia ad interessarsi alla musica cinematografica. Per il cinema muto crea una grande quantità di Music Sheets (fogli di repertorio), ognuno dei quali ha una sua ben precisa funzione nel commentare le atmosfere delle diverse scene dei film. Si tratta di una vera e propria biblioteca dove si può scegliere a piacimento in un indice del tipo: scene drammatiche, Natura, scene liriche ecc... "Si trattava di una vera e propria biblioteca di indicazioni musicali o di partiture complete (brani di repertorio con o senza pagine originali), di cui Becce iniziò la pubblicazione a partire dal 1919." Abbiamo anche dei musicisti di una certa levatura artistica che si accostano al cinema. Rapsodia satanica ('15) di Nino Oxilia è musicato da Pietro Mascagni e Cabiria ('14) di Giovanni Pastrone è musicato da Ildebrando Pizzetti.
Il primo è un film d'avanguardia, trattato da Mascagni come un film-opera, dove la musica gioca un ruolo di eccezionale importanza. "Con questo film, che ricordo benissimo, io ebbi la precisa sensazione e la rivelazione che la musica poteva assurgere a protagonista dello spettacolo cinematografico, [...]". I primi film sonori italiani sono Sole di Alessandro Blasetti e Rotaie di Mario Camerini, entrambi del '29. Ma il vero film sonoro arriva nel 1930 con La canzone dell'amore di Gennaro Righelli. E' un vero successo commerciale; la canzone di C.A.Bixio Solo per te, Lucia, che ne è il leit-motiv, diventa presto popolarissima. La novella di Pirandello, Il Silenzio, che è alla base di questo film, viene totalmente traviata e snaturata dall'adattamento cinematografico. "A parte l'osservazione di un bello spirito che, così, il cinema italiano cominciava con il silenzio il periodo sonoro."
Inizia così il periodo in cui le colonne sonore si fanno veicolo di canzonette semplici e popolari che lo spettatore non disdegna d'accogliere senza batter ciglio. Molti sono i musicisti attivi negli anni '30 che si dedicano con zelo ed adattabilità alla musica cinematografica. Tra questi troviamo il già citato Bixio, Luigi Colacicchi, Giuseppe Mulè, Amedeo Escobar e altri. Intanto sta nascendo un corpus di musicologi, organizzatori, critici, nuovi compositori che gettano le basi per uno studio teorico sulla natura della musica da film. Il mondo della musica seria e quello del cinema cominciano ad avvicinarsi l'un l'altro. E' solo l'inizio del processo evolutivo che troverà conferma pratica negli anni '50. Per il momento si iniziano a scoprire gradatamente le molteplici possibilità di applicazione che il cinema può offrire alla musica seria. Musicisti del taglio di Ghedini, Felice Lattuada, Malipiero si avvicinano al cinema attraverso le basi critico-teoriche che si stanno formando attorno alla musica per cinema. Enzo Masetti, Alessandro Cicognini, Giuseppe Rosati, Renzo Rossellini sono "la pattuglia dei primi « musicisti cinematografici » in senso proprio - per la continuità degli apporti e il loro peso specifico - [...]". Dopo la seconda guerra mondiale si apre per il cinema italiano una nuova ed eccezionale stagione che segna uno stacco netto dal cinema dei "telefoni bianchi" dell'epoca fascista. Si afferma, infatti, il Neorealismo che si propone subito come una rivoluzione in campo cinematografico. Anche se non si è mai formalizzato in una vera e propria scuola, il neorealismo si concretizza come nuova estetica, con il conseguente rinnovamento di tutti i moduli sintattico-narrativi usuali e con una schietta presa di coscienza del reale, il quale sembra quasi imporre un rinnovamento di questo tipo. La musica, però, non sembra stare al passo e rimane ancorata alla tradizione passata. Mai come ora l'arte cinematografica reclama qualcosa di veramente innovativo alla musica, uno stile, se così si può dire, che scaturisca direttamente dalle immagini che il neorealismo va proponendo. "Qualche cosa che non è più fuori dall'azione natura-uomo ma è dentro; qualche cosa che la integri e non l'accompagni e ne scaturisca invece come una nuova dimensione rappresentativa fedele a tutte le « realtà » : quelle cinematografiche e quelle musicali."
Se il montaggio, la recitazione, la narratività sono totalmente diversi, la musica non riesce ad unirsi coerentemente nel flusso innovativo, se non sporadicamente.
Per esempio, in Ladri di biciclette la musica di Alessandro Cicognini non riesce ad unirsi funzionalmente alle immagini. Da una parte abbiamo la cruda e disillusa sconfitta del protagonista mostrata senza veli; dall'altra c'è l'elemento consolatorio della musica che stona, quindi, col messaggio delle immagini. In questo senso si presti attenzione al finale dove il protagonista viene malmenato perché tenta di rubare anche lui una bicicletta. Il figlio piangente commuove il derubato che decide di lasciarlo andare. Si allontanano, così, "i due disgraziati nella sera estiva. Ma ricordiamo tutti anche l'insistita, ripetitiva, patetica perorazione degli archi che ci manda a casa in fondo con una sensazione di tristezza dolce, [...]". E' in questo modo che la lettura critica che lo spettatore dovrebbe attuare nella cruda manifestazione delle immagini viene smussata e raddolcita proprio dalla musica, troppo tradizionale per ottenere un risultato differente. L'elemento popolare della musica italiana, che felicemente si potrebbe unire alle immagini neorealistiche, non viene sfruttato come dovrebbe. E' infatti da questo che i musicisti dell'epoca dovrebbero suggere le loro ispirazioni musicali e i commenti di cui si rendono autori. Ma questo avviene solo in rari casi. La musica folklorica è quella che il popolo canta naturalmente, senza spinte esterne (i mass-media di ogni epoca), e nella quale sia avvenuta una ricreazione o elaborazione popolare, collettiva. Le ninne nanne, i canti di lavoro, le serenate, i canti d'amore, i canti funebri altro non sono che forme d'espressione di questa musica. I primi studi che la pongono come oggetto d'indagine iniziano nell' 800 e per iniziativa non di italiani, bensì di studiosi romantici tedeschi. Le uniche vere raccolte che il nostro paese partorisce sono due: la Storia della poesia popolare italiana di Rubieri e La poesia popolare italiana di D'Ancona. Ma, come dice Giorgio Nataletti, "entrambi questi studi, [...], hanno troppo trascurato la parte musicale della poesia popolare [...]". Così, l'Italia si trova ad essere ereditaria di una tradizione di musica popolare che, sebbene ricchissima, si rivela, per l'elusività degli studi fatti in proposito, non certo molto presente. In campo cinematografico abbiamo, comunque, dei buoni esempi dell'uso che la musica popolare dovrebbe ispirare. La terra trema ('48) di Luchino Visconti offre la funzionalità di canzoni siciliane molto belle e che si fondono con la coralità che investe tutto il mondo dei pescatori di verghiana memoria. In Patto col diavolo ('48) di Luigi Chiarini la partitura musicale è di Achille Longo; essa si rivela con ricchezza d'inventiva in alcune scene, quale quella di canti e danze popolari usati in funzione della drammaticità del film. Ildebrando Pizzetti si dimostra musicista sensibilissimo a questa musica in Il Mulino del Po ('49) di Alberto Lattuada. Un altro film neorealista che offre delle soluzioni felici è Riso Amaro ('50) di Giuseppe De Santis, musica di Goffredo Petrassi. Come vediamo sono pochissimi i film che usufruiscono seriamente di tanta ricchezza locale. In America, ad esempio, la situazione è diversa, ché là è ben presente la passione per i propri canti popolari, cosa ben visibile nei film western. Le canzoni dei "cow-boys" e dei primi pionieri si propagano non solo nella terra natale, ma anche in tutta Europa, vista la popolarità di cui il cinema americano gode. Tutti sembrano conoscere canzoni come Oh, Susanna!, My Darling Clementine e sembrano invece ignorare le canzoni della propria terra. In Italia, se vengono ricordate certe melodie nostrane, non è certo per orgoglio nazionale. In questo senso, Roberto Leydi sottolinea con amara ironia che "ciò soprattutto si riferisce ai canti di montagna, sprofondati in un amaro ricordo di scampagnate domenicali, [...] ed alle canzoni napoletane, indegnamente sfruttate, ad uso soprattutto degli stranieri".
Gianluca Nicastro (22.3.09)
Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del
dopoguerra italiano