Settimanale, anno 17 - n. 20
Mar, 3 Dicembre 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 1.2  Il cinema del dopoguerra e la musica (parte 8)

Nel film-lirico la musica è quella dell'opera su cui è basato il film.  Verdi, Rossini, Puccini, questi i musicisti che vengono "arrangiati" dagli stessi registi che ne fanno un'opera cinematografica. Ma quando si vuole portare sullo schermo un'opera lirica se ne ricava solo un adattamento. L'opera, infatti, risulta limitata nella sua forza di suggestione ed il cinema riduce molte delle sue possibilità espressive. Nell'immediato dopoguerra si fanno molti di questi adattamenti; l'unico vantaggio è, però, non il valore artistico in sé, ma la popolarità che acquista tale genere entrando a contatto con un pubblico che "altrimenti non avrebbe mai avuto la possibilità di assistere ad un simile spettacolo."  Il mezzo cinematografico, con le sue infinite possibilità, non può limitarsi passivamente a far rivivere l'opera lirica in fotogrammi in movimento e giustapposti in maniera anche magistrale (col montaggio). Lo spettacolo lirico, infatti, contrasta fortemente col movimento, in quanto i suoi momenti più alti ed emozionanti sono proprio quelli in cui non succede nulla; le arie sono prevalentemente statiche. "Non c'è fretta per chi sta per morire o per chi deve fuggire sotto la spinta d'una mi­naccia mortale: prima si deve cantare tutto fino in fondo, poi si vedrà." Quindi il dinamismo cinemato­grafico si scontra con l'immobilità della scena operistica che pur vuole rappresentare.  
Di questo sembra essere cosciente lo stesso Carmine Gallone, maestro del genere, quando afferma che "il lavoro di passaggio dal palcoscenico allo schermo, dalla staticità di quello al dinamismo di questo, non era così facile. La mèta è ancora lontana". A rimediare parzialmente ci pensa la tecnica delle inquadrature: di solito, viene ripresa la scena intera e, con sapiente maestria di montaggio, si passa ai primi piani di chi si produce nelle arie. Lo spettatore ha così la sensazione di essere a teatro, dove è lui stesso ad attuare i tagli visivi attratto dal momento lirico che ascolta. Il canto è veicolo d'una storia, di un amore, di un dolore, riporta il passato come ricordo presente. Il cinema, con tutte le sue possibilità espressive, dovrebbe isolare il cantante e trasportarci, attraverso la visività delle immagini, nel suo mondo interiore. Ha ragione F.L.Lunghi a dire che nessun altro mezzo "potrebbe compiere un simile miracolo." Se usato in questo modo il cinema potrebbe potenziare al massimo grado la forza del melodramma, molto più di quello che avviene in un teatro lirico. Si dovrebbe pensare ad una nuova forma nata dall'antica e dall'incontro col cinema, mentre, in definitiva, il film-lirico del dopoguerra risulta solo un adattamento "popolare", privo di una propria statura artistica. Se manca, tranne alcuni casi, un reale risultato pratico dell'apporto della musica ai film del dopoguerra (cioè, rinnovato in senso moderno), si va intensificando, parallelamente, quel sostrato teorico-critico, già vivo nell'anteguerra. Le riviste specializzate di cinema si fanno carico di aprire nuovi spazi al loro interno, spazi approntati nel passato, ma che, dopo la guerra, cominciano ad avere una certa regolarità. Sono sempre più frequenti le rubriche dedicate ai pro­blemi della musica per film in riviste quali Cinema, Bianco e Nero, La rivista del ci­nematografo, Cinema nuovo e altre. A curarle sono per lo più i musicisti, ma non mancano gli interventi di registi, di critici e degli altri "addetti ai lavori". Grazie all'operato di queste, si va prendendo via via coscienza di un problema sempre sottovalutato e che ora reclama il proprio giusto riconoscimento all'interno dell'estetica cinematografica. Attraverso questi apporti e la presa di coscienza del rapporto problematico musica-film, si giunge, finalmente, agli inizi degli anni '50, a raccogliere i primi frutti. Fanno la loro comparsa i veri "musicisti cinematografici" in senso moderno. Si affacciano alla ribalta musicisti come Nino Rota, Mario Nascimbene, Giovanni Fusco, Carlo Rustichelli, tanto per citarne qualcuno. Tutti gli interventi fatti prima e dopo la guerra convergono su alcuni punti precisi. La tirannia dell'immagine nei confronti della musica, limitata ad arte decoratoria e d'accompagnamento. La mancanza di veri e proficui rapporti tra regista e musicista; mentre il "supervisore" durante il film ha frequenti colloqui con lo sceneggiatore, il direttore della fotografia, gli scenografi ecc., sembra che parli col musicista solo all'ultimo, a film ultimato. La cecità ed avarizia della maggior parte dei produttori che pongono la musica all'ultimo posto nel loro budget di produzione. Non mancano poi appunti teorici sulla funzione della musica nel film: gli effetti sonori, l'uso dei classici e della nuova musica contemporanea (la dodecafonia), la musica sincronica e la musica asincronica.  Ricordiamo che nel 1950 si tiene a Firenze il VII Congresso Musicale dedicato al tema Musica e film. Molti musicisti, presenti in quel momento nel campo cinematografico, vi prendono parte; non mancano anche i registi. Importanti sono gli interventi di Luigi Chiarini, di Roman Vlad e il discorso di chiusura di Ildebrando Pizzetti. Chiarini ribadisce ciò che già ha detto in un precedente articolo del 1940: la musica cinematografica va considerata alla stessa stregua di ogni altro elemento che concorre all'espressione di un film; un'unità stilistica che si può raggiungere solo se si prende in considerazione questa realtà. Insomma, tutto un corpus di problematiche che cerca di farsi strada e di penetrare nella coscienza di tutti quelli che si dedicano al cinema, compresi gli spettatori. L'importanza del dopoguerra sta proprio nel fatto che la musica riesce a gridare e ad ispirare un nuovo modo di concepirla nel cinematografo, ad avviarla, non solo in teoria, ma anche in pratica, alla realizzazione di quel tanto agognato e moderno rapporto di equilibrio che da sempre chiede all'immagine. Tale periodo rappresenta, infatti, il reale punto di transizione tra tradizionalismo e modernismo della musica cinematografica. La gran parte dei musicisti dell'epoca mantiene e fa coesistere, nei propri lavori, elementi che si muovono appunto tra il vecchio e il nuovo. Infine, un altro grande riconoscimento le viene, in questo periodo, dall'istituzione del "Nastro d'argento". Dal 1946, infatti, un Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani, attraverso un referendum, attribuisce il nastro d'argento al musicista cinematografico considerato il migliore della stagione. Abbiamo così: nel '45 / '46 Enzo Masetti, per il film Malia di Giuseppe Amato; nel '46 / '47 Renzo Rossellini, per Paisà del fratello Roberto; nel '47 / '48 ancora Renzo Rossellini, per I fratelli Karamazoff di Giacomo Gentilomo; nel '48 / '49 Alessandro Cicognini, per Ladri di biciclette di Vittorio De Sica; nel '49 / '50 Roman Vlad, per la sua attività complessiva nel cinema; nel '50 / '51 Giovanni Fusco, per Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni. Proprio con quest'ultimo film si può dire che inizi pienamente quel rapporto musica-film in senso del tutto moderno. In questo bellissimo lavoro, infatti, si possono ravvisare e cogliere nettamente tutti quei caratteri "unitari" che l'immagine richiede alla musica, fondendosi in un tutto unico, quasi come fossero corpo e anima.

Gianluca Nicastro                        (5.4.09)


Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro
La musica nel cinema del
dopoguerra italiano