Settimanale, anno 17 - n. 18
Gio, 21 Novembre 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 2.1 (parte 2) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i "maggiori", fra tradizione ed innovazione

Roma, città aperta ('45) di Roberto Rossellini; musica di Renzo Rossellini.

 L'altro tema denotativo di grande importanza è quello che si presenta per la prima volta  dopo che il gruppo di bambini partigiani provoca un'esplosione ai danni dei nazisti. Sulle prime si sente, dopo l'esplosione, il solito tema concitato, interrotto subito dopo l'entrata del gruppo di bambini nell'inquadratura, sostenuti dal loro tema di riscossa che non lascia più dubbi sulla paternità dell'attentato. Tale tema tornerà nel finale, dove i bambini, dopo aver assistito all'esecuzione di don Pietro, se ne vanno a testa bassa, sostenuti sempre dal loro tema lirico che da cupo si trasforma in un'esplosione lirico-sinfonica quando ormai scorrono i titoli di coda. In questo caso, è proprio la liricità del motivo che ci induce a sperare che quelle teste che fissano sconsolate la strada, saranno poi capaci di riprendere il cammino, verso un futuro migliore. La liricità di questa scena ci fa vedere chiaramente che lì è racchiusa la segreta speranza di risorgere di tutto un popolo. Le SS circondano il palazzo dove abita Pina, la mattina del giorno del suo matrimonio. Manfredi riesce a fuggire; le donne, i bambini e i vecchi sono am­massati sulla strada. Don Pietro, con il pretesto di dover dare l'estrema unzione ad un vecchio morente, riesce ad entrare e a nascondere così le armi nascoste in terrazzo. Il salire e  scendere le scale sono sottolineati da  scale cromatiche, sostenute da bassi che si muovono armonicamente in brevissimi intervalli e ritmicamente realizzano una situazione concitatissima. Anche qui il sincronismo fra suono ed immagine non dà adito a dubbi. Mentre risulta fuori da ogni tradizione il non sottolineare con al­cuna musica l'uccisione di Pina. Ella crede che anche Francesco (suo futuro marito) sia in salvo, ma quando lo vede trascinato su una camionetta dai tedeschi, si strappa dai soldati, corre dietro il veicolo gridando il suo nome e cade sulla strada colpita a morte dai mitra. Ci saremmo aspettati che tutto questo dovesse essere sottolineato dalla musica; invece, essa compare solo quando il bambino piange sul corpo della madre morta. Tale scelta si rivela perfetta in tutti i sensi. Infatti, la potentissima espressività della scena e della Magnani non reclamano nessun potenziamento da parte della musica, che in ogni caso sarebbe risultata superflua. Solo quando l'im­magine raggiunge il culmine massimo essa interviene, trasportando lo spettatore nell'interiorità del sentimento struggente che la scena mostra. Anche le canzoni e la musica proveniente dalla pellicola acquistano importanza drammatica in alcune scene. In un camerino del varietà troviamo Marina (l'amante di Manfredi) estremamente tesa, con l'animo che si muove in una situazione torbida ed ambigua, mentre cerca droga in un flaconcino ormai vuoto. A far risaltare ancora di più questa sensazione è la musica proveniente da fuori il camerino. Si tratta di una canzone, Capo Cabana, molto famosa all'epoca, con ritmi e melodie latino-americani che, per la loro esoticità e quindi evasività, si pongono in netto contrappunto con il significato delle immagini. Un altro motivetto è assunto e fischiettato dai partigiani come parola d'ordine segreta: si tratta di Mattinata Fiorentina. Lo troviamo , in quest'accezione, quando don Pietro accetta di recapitare del denaro, mascherato in tre finti libri, ad un inviato di un gruppo di cinquecento partigiani delle montagne sopra Tagliacozzo. Al momento della consegna, don Pietro fischietta il motivo per farsi riconoscere. In un'altra scena, quella finale, è sempre lo stesso motivetto che funge da estremo saluto a don Pietro che sta per essere fucilato. I ragazzi dell'oratorio lo fischiano in coro, quasi a voler affermare che lo spirito dei partigiani non muore con loro, ma continua a vivere comunque in chi resta, nei loro figli. Mentre l'harmonium, strumento dal timbro ancora più triste di un organo, guida la messa funebre per Pina che si sta svolgendo in chiesa, vediamo, parallelamente, Manfredi e Francesco (liberato dai partigiani con un'azione fulminante) a casa di Marina che non sa nulla di quanto è successo. La musica, proveniente dalla radio accesa da Marina, è quella jazz di una Big Band americana, sfrenatissima, che si contrappone fortemente alla musica della scena precedente.  Il migliore effetto ottenuto da questi espedienti è riscontrabile nella sequenza dove Manfredi viene torturato e ucciso dagli aguzzini nazisti, mentre in un'altra stanza alcuni ufficiali tedeschi, fra i quali c'è anche Marina, bevono, giocano e uno di loro suona al pianoforte gradevoli melodie del romanticismo tedesco. L'effetto di contrasto trova la sua soluzione perfetta quando Marina, ottenebrata dalla droga, esce dalla stanza, insieme alle svagate melodie, giunge sulla soglia della stanza di tortura e, vedendo Manfredi morto, cade a terra svenuta, mentre Ingrid (la sua ambigua amica nazista) recupera la pelliccia che le ha regalato. Qui il contrasto tra l'evasione della musica e la realtà che le immagini mostrano tocca punte di maestria assoluta.
Renzo Rossellini si muove, quindi, fra tradizione e innovazione per quanto riguarda il commento musicale per film. Lo vediamo ancorato alla tradizione melodrammatica ottocentesca, chiuso in quel mondo e incapace di accettare le inno­vazioni novecentesche della musica europea; però, contestualmente capace di inserire quella tradizione anche in maniera saggia ed accorta: questo lo si evince anche dal fatto di aver usato pochissima musica per questo film, mantenendo l'integrità del realismo delle immagini. I suoi nuclei melodici si muovono sempre per intervalli estrema­mente brevi, semplici idee che, molte volte, si uniscono all'immagine cui sono legate e riescono a penetrare nella mente dello spettatore. Certo, questo non accade quando sottolinea gli spaccati familiari fra Francesco, Pina ed il figlioletto Marcello: l'unisono degli archi, estremamente edulcorato, non può che fare da cornice alle immagini, la sincronia fra immagini e suono è troppo palese ed ostentata. I film melodrammatici di Matarazzo hanno bisogno di un tale commento, ma non il neorealismo che reclama ben altro dalla musica.

Gianluca Nicastro                    (26.4.09)



Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro
La musica nel cinema del
dopoguerra italiano