Recensioni >> The Hacienda - Conversation Less
Ogni volta che mi capita un album tra le mani cerco di studiarne ogni minimo particolare, come se avesse dentro qualche piccolo mistero. Naturalmente, una delle cose che incuriosisce l'ascoltatore è quasi sempre il nome, per questo mi sono messa a lavoro e ho trovato diversi risultati. Quello che mi è sembrato più appropriato (e spero di aver fatto centro) è che The Hacienda fosse il nome di un famosissimo Night Club e Music Venue di Manchester o che fosse il corrispettivo di estate, o di ranch in Spagna.
Sono molte infatti le influenze oltre manica di cui la band toscana formata da Alessandro Gianferrara (voce e chitarra) Andrea Palombi (basso) William Cavalzani (voce e chitarra) e Leonardo Innocenti (Batteria) si nutre e cresce attraverso questo primo lavoro ufficiale. Seguendo il rito allora, prendo il supporto, lo apro come uno scrigno segreto, analizzo la scelta grafica e dei colori e con convinzione spingo play sullo stereo.
Una delle cose che mi colpisce di più di questo album, oltre la cura estrema del suono e degli arrangiamenti, è l'impatto forte della voce con echi alla Billy Idol che si sente precisamente nell'attacco di Goodbye Still Walker dando il via a un pezzo movimentato e pieno di invenzioni ritmiche sbarazzine e frizzanti. La parte strumentale imita e rincorre le voci perfettamente calibrate, in un brano incentrato sugli stacchi, sulle velocità e su un flusso continuo. 1 A.M. parte con un riff coinvolgente e un giro di basso che segue la linea melodica in modo originale. Questo potrebbe essere un brano che rimane in testa ed è l'unico brano dell'EP che segue fedelmente la linea della forma-canzone anche se completamente rivisitata. Il testo un po' criptico in alcuni passaggi viene dispiegato da una melodia molto orecchiabile raddoppiata dalla seconda voce. Credo sia proprio il gioco delle doppie voci e i ritmi incalzanti che rendono questo lavoro non solo brillante e scorrevole ma incredibilmente piacevole da ascoltare (anche a ripetizione!).
"How many kind of people were so blind to let their own life pass'em by?" Questa frase attenta e attualissima apre Little Boy che con il suo ritmo insistente segue degli sviluppi diversi da quelli che ci aspetteremmo a primo impatto. Come abbiamo detto in precedenza gli elementi per dire che questa sia una canzone a tutti gli effetti ci sono, solo che la band toscana si diverte molto a sorprendere l'ascoltatore con trucchetti peculiari e colpi di scena lasciandogli credere che la soluzione più ovvia sia quella impiegata. Little Boy può parlare di tante cose: della frivolezza, della gente passiva che lascia scorrere la vita per paura di commettere errori nascondendosi dietro qualsiasi cosa. Si parla di sentimenti, si parla di quattro ragazzi di Liverpool e del loro enunciato sull'importanza dell'amore, insomma ognuno può vederci ciò che vuole in questo lavoro. Small Town Boyfriend attacca con il tempo cadenzato della batteria alla quale si unisce un riff ben intrecciato con la voce. Il brano si snoda in stacchi, riff e sonorità molto allegre in cui si percepisce la cura dell'arrangiamento e la passione per la comunicazione di immagini sonore. Il chorus viene ripetuto più volte in modo vario per dare un senso di rifinitura a tutto il pezzo. L'ultimo brano Mirrors è un mix di rock e punk in cui la linea del basso diventa predominante e le due voci recitano in un inglese impeccabile un testo riflessivo in cui si parla di specchi, (o di realtà) in cui si può vedere solo quello che fa comodo a noi anche se nel world around ne esistono altri che don't lie e che ci fanno viaggiare in posti mai visti prima dando spazio alla fantasia. L'atmosfera muta in uno special reggae per riprendere poi in un chorus che parla di sentimenti, di libertà in cui la cosa importante è lasciarsi andare con la musica. La frase make love with the music - non a caso ripetuta più volte nel finale- è significativa e "rispecchia" pienamente la poetica degli Hacienda.
Non è un caso che Conversation Less sia uno dei pezzi più belli e comunicativi di tutto l'EP e che l'abbia lasciato proprio per chiudere questa recensione. L'impatto melodico iniziale e i cori vocali lasciano spazio a un riff di chitarra solare e fresco dove si appoggia la voce che ha cambiato completamente assetto rispetto all'inizio. Primo inganno: ciò che all'inizio sembrava essere una strofa era soltanto un attacco. Il ritornello allora attende il richiamo del rullante in crescendo che si blocca proprio sulla ripetizione della frase che dà il titolo dell'album e che poi sarà sostenuto nel finale da un bellissimo mix di doppie voci a cappella (tipiche comunque dello stile punk) punto di incontro di tutto il lavoro della gruppo. Cosa vuol dire questa frase? A chi si rivolgono, al mondo, a loro stessi?
Forse dovremmo interessarci a ciò che sta accadendo nella società, accettare anche altri modi di comunicazione ed espressione. Qual è il confine tra la parola e la musica?
Quando la conversazione viene meno alle proprie funzioni è proprio allora che entra in gioco la Musica. Grazie agli Hacienda per il loro spunto di riflessione.
Martina Sanzi (24.5.09)