Settimanale, anno 17 - n. 20
Mar, 3 Dicembre 2024

Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano

Studi, tesi, riflessioni sulla musica

Capitolo 2.1 (parte 4) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i "maggiori", fra tradizione ed innovazione

Ladri di biciclette ('48) di Vittorio De Sica; musica di Alessandro Cicognini

Mentre Antonio sta attaccando il manifesto di Rita Hayworth, un ragazzo, avvicinandosi circospetto alla bicicletta, improvvisamente la prende e scappa. Antonio lo insegue ma senza successo.
Ora egli si trova solo, senza lavoro, sul suo volto si va dipingendo una drammatica disperazione; l'effetto è raddoppiato dal ri­torno delle quattro battute del tema conduttore, con l'unisono degli archi che si muo­vono in un tempo lento. Il fatto di aver aspettato quel momento ad inserire la musica si rivela funzionale, poiché non sottolinea l'atto compiuto dal ladro e l'inseguimento, ma il momento preciso in cui il protagonista, ritrovandosi solo, prende coscienza che la sua felicità, appena cominciata, è già svanita. Qui la musica ha la necessità di in­tervenire, cosicché da permettere allo spettatore di essere vicino al pover'uomo e di contemplarlo da vicino. Abbiamo visto come questo tema torni varie volte a seguire molte scene, alcune delle quali, però, non ne reclamano l'intervento. Oltre a tornare altre volte, vediamo questa melodia chiudere il film. Nel finale abbiamo da una parte la cruda e disillusa sconfitta del protagonista mostrata senza veli; dall'altra c'è l'ele­mento consolatorio della musica che stona, quindi, col messaggio delle immagini. Il protagonista viene malmenato perché tenta, ormai disperato oltre ogni misura, di rubare anche lui una bicicletta. Il figlio piangente commuove il derubato che decide di lasciarlo andare. Si allontanano, così, "i due disgraziati nella sera estiva. Ma ricordiamo tutti anche l'insistita, ripetitiva, patetica perorazione degli archi che ci manda a casa in fondo con una sensazione di tristezza dolce, [...]" (Ermanno Comuzio, De Sica, Germi, Lattuada, op. cit. , p. 15.). E' in questo modo che la lettura critica che lo spettatore dovrebbe formulare nella cruda manifestazione delle immagini viene smussata e raddolcita proprio da quel leit-motiv che abbiamo visto ripresentarsi troppe volte nel corso del film. L'unico altro tema ad avere una sua autonomia ed indipendenza dal motivo dominante, si ha quando Antonio e Maria raggiungono via della Paglia; la donna, senza dare spiegazioni al marito, entra in un portone per recarsi a ricompensare la "Santona" che ha previsto il collocamento del marito. Lentamente, vediamo Ricci quasi ipnotizzato salire le scale ed entrare nell'appartamento. La musica è quella arabizzante, esoterica quindi, ottenuta con scale "armoniche" che dànno quest'effetto orientaleggiante, da incantatore di serpenti. Ed in pratica, Antonio sembra proprio incantato e trascinato in quell'appartamento, in cui tornerà più tardi, dopo il furto della bicicletta, nella speranza di ottenere qualche informazione utile per il suo ritrovamento. Per quanto riguarda la musica che proviene dalla pellicola c'è da dire prima di tutto che non sempre è usata in contrappunto con le immagini. Quando un'attacchino sta spiegando ad Antonio come si affiggono i manifesti, due bambini gironzolano loro intorno: uno suona la fisarmonica e l'altro chiede l'elemosina ai passanti. Quello con la fisarmonica sta suonando un'allegra tarantella (in tonalità maggiore) che attacca a suonare non appena è terminata la musica dell' idillio al lavoro cui abbiamo accennato prima. Insieme a questa, essa non fa altro che sottolineare la felicità del protagonista che ha finalmente un lavoro, ponendosi quindi in perfetta sincronia con le immagini. In un altro punto una canzonetta, che a tutta prima ci potrebbe far pensare ad un uso in contrappunto, si coagula, invece, nel suo significato testuale coll'animo del personaggio. Si tratta della sequenza in cui Antonio va a cercare Baiocco che lo dovrebbe aiutare a ritrovare la bicicletta. Quest'ultimo è intento a dirigere le prove di uno spettacolino di rivista in uno scantinato. Abbiamo un piccolo palchetto, sul quale si trova un cantante in tuta da lavoro e due ballerine, e sotto un trio composto da batteria ridotta al minimo (come quelle del primissimo jazz), un violino e un benjo. La canzonetta che stanno provando è quella che fa: "Se mi vulissi bene veramente / non mi facessi sfrucugliar da gente...". E' un motivo popolare di argomento amoroso che tratta di un vero innamorato, la cui bella, però, non fa che respingerlo e beffeg­giarlo. Anche Antonio è un fervente innamorato della vita, e questa non fa che delu­derlo nelle sue aspettative, finendo per chiuderlo nel paradosso in cui si trova: dopo tanto tempo, un po' di felicità anche per lui, subito interrotta dal furto di quella bici­cletta che per lui è il lavoro, la stabilità, in una parola, la vita stessa. Se ad uno sguardo superficiale la canzonetta può porsi in contrasto col suo animo disperato, per la sua viva allegrezza musicale, ad uno sguardo più profondo si rivela proprio il con­trario. L'unica volta che una canzone si contrappone veramente è nella sequenza della trattoria, dove troviamo padre e figlio che vogliono prendersi un po' di tranquillità, mangiare un boccone e stare in allegria, senza pensare. Ci sono dei suonatori in piedi, fra i tavoli, che cantano e suonano una canzone popolare napoletana, Tammuriata nera, molto allegra. Antonio è euforico e tenta in tutti i modi di non pensare a quanto gli è successo, cercando di uniformarsi alla spensieratezza del locale. Ma accanto ai due siede una famiglia che ostenta la propria agiatezza, alcuni sguardi evocano un latente conflitto di classe: Antonio, col cibo ancora nel piatto, ripensa alla sua disgrazia e si va vieppiù incupendo in volto, mentre la musica allegra continua a circolare nell'aria del locale.
 Complessivamente, quindi, Alessandro Cicognini è essenzialmente tradizionalista, non solo nel suo aderire ferventemente alla tradizione pucciniana e melodrammatica ottocentesca, ma anche nell'uso che egli fa di questa musica nella colonna sonora. Abbiamo visto come un tema unico,  sentimentale e patetico, copra in grande percentuale molte scene; un leit-motiv che musicalmente può essere anche suggestivo, ma che compare troppe volte, anche laddove esso non è richiesto, fino a perdere il suo potere evocativo e lirico.  L'altro punto di massima tradizione è il sincronismo fra musica ed immagine portato alle estreme conseguenze. Persino le canzoni si piegano a tale funzione. Oppure lo vediamo nell'inseguimento del ladro a Porta Portese, reso da scale cromatiche eseguite da legni; o allo stadio, quando Antonio decide di rubare una bicicletta e la musica segue repentinamente l'incupirsi e il suo andare avanti e indietro, in un'atmosfera che si carica sempre più di tensione nella maturazione dell'idea balorda, ma disperata, che lo porterà a compiere l'infame gesto. Da apprezzare, invece, la ricreazione dei campanelli delle biciclette con l'onomatopea musicale, inserita qua e là nella melodia e nelle immagini in cui i campanelli compaiono (vedi nella ricerca al mercato di Piazza Vittorio, nello sfrec­ciare delle biciclette all'uscita euforica dello stadio), creando degli effetti alquanto fun­zionali.

Gianluca Nicastro      (24.5.09)

Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro
La musica nel cinema del
dopoguerra italiano