Recensioni >> Dead Weather - Horehound
Ammetto che non ho mai amato tantissimo i White Stripes, anche se alcune cose buone le hanno fatte, ma ammetto anche che apprezzo tantissimo i vari esperimenti che Jack White riesce a creare ed è sorprendente la semplicità e la freschezza che si riesce a trovare nei vari progetti che crea. Pensiamo ad esempio ai The Racounters con l'ultimo album pieno stupendamente di"rock" come non si sentiva da tempo.
Ed è anche in questo gruppo, i Dead Weather, composti da Jack White che qui si occupa della batteria, da Alison Mosshart, (alla voce), proveniente dai The Kills, che sfodera e presenta una voce degna delle chitarre graffianti e acide del chitarrista della band che altro non e' che la potenza dei Queens of the Stone Age, Dean Fertita e infine al basso Jack Lawrence dei The Racounters. Una vera e classica band rock, ed è questo che colpisce quando lo si ascolta per la prima volta, perché ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso, di strano, ma invece l'anima dei rispettivi musicisti è lì pura e chiara. Sano rock , blues, con incursioni veloci nel reggae e nel dub.
60 Feet Tall apre l'album nel migliore dei modi, un blues lento con chitarra tirata, pesante a volte hendrixiana e la voce di Alison perfettamente sporca e sofferta. Colpisce il suono scarno come se suonato in presa diretta che dà quella sensazione di garage rock e psichedelia che rimanda a gruppi come gli Hoodoo Gurus o Radio Birdman dell'epoca australiana anni 90 del garage. Spettacolare la chitarra di Dean Fertita sofferta al punto giusto. Nell'ascolto si passa praticamente per tutte le aree del rock dove spicca il brano Treat Me Like Your Mother , quattro minuti di rock quasi isterico, oppure la fuga nel dub del brano I Cut Like A Buffalo. No Hassle Night semplicemente un blues acido e terribilmente affascinante. New Pony è l'unica cover presente nell'album. Un brano di Bob Dylan dall'album "Street legal" e qui i Dead Weather devastano, modificano, urlano e rendono violento il brano di Dylan.
Decisamente un album che prende fin dal primo ascolto, si ha nettamente l'idea che si siano veramente divertiti a suonarlo e concepirlo. L'album non è nulla di sconvolgente ed originale è un capitolo in più nella lunga storia del rock o del rock blues, scegliete voi dove vogliate inserirlo. Ma alla fine resta una sola cosa sicura che Jack White, non a caso chiamato golden boy, sa fare il suo lavoro e forse un giorno riuscirà a scrivere quell'album che resterà scritto nelle enciclopedie dei grandi albums del Rock. Fino a che non succederà sicuramente avremo il gusto e il piacere di ascoltare albums così.
Claudio Lodi (10.1.10)