Sulla musica >> La musica nel cinema del dopoguerra italiano
Studi, tesi, riflessioni sulla musica
Capitolo 2.1 (parte 9) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i "maggiori", fra tradizione ed innovazione
Montecassino ('46) di A. Gemmiti; musica di Adriano Lualdi
Un organo tiene lunghe note tristi, accompagnando il coro dei confratelli che intonano un profondo e sentito Dies Irae. Si tratta di musica proveniente dalla pellicola che si pone perfettamente in comunione con le immagini, caricandole di una grave tristezza e nello stesso tempo creando quella sospensione capace di far ergere le anime da quella drammaticità e contemplare l'Assoluto. Il Dies Irae è una sequenza musicale latina della metà del XIII sec., comunemente attribuita a Tommaso da Celano, al quale, sebbene dubitativamente, viene attribuita anche la musica. Consta di diciannove strofe di tre versi di otto sillabe e si divide in due parti: la prima, di sei strofe, descrive il giorno del giudizio; la seconda contiene la preghiera dei dannati invocanti la misericordia divina. Affine ad inni e laudi medievali, il Dies Irae ha tuttavia un'eccezionale intensità drammatica. Con lo Stabat mater è una delle poche poesie religiose del medioevo rimaste nella liturgia cattolica dopo il concilio di Trento. Introdotto, a partire dal 1249, dai frati minori come seconda parte della Missa pro defunctis, il Dies irae ci offre una melodia di grande potenza espressiva, usata spesso dai compositori, dal Rinascimento in poi. Elaborazioni polifoniche ne danno, alla fine del cinquecento, G.F. Anerio e G.M. Asola. Singolare fortuna ha poi nel Romanticismo, fornendo lo spunto a vasti affreschi sinfonici ispirati al tema della Danza macabra o a quadri drammatici di grande suggestione, quali la scena della chiesa nel Faust di Gounod. Particolarmente significativa è poi nella storia della musica l'interpretazione che alcuni tra i più grandi compositori (Mozart, Cherubini, Berlioz e Verdi) danno al Dies irae nelle proprie messe da Requiem, delle quali esso costituisce il momento di maggiore tensione drammatica. Ed è proprio in quest'accezione che Lualdi, nello sforzo di riconnettersi al medioevo, lo inserisce nella scena della messa. Lì viene celebrata la morte dell'uomo, la morte della speranza, della fede, della fratellanza, dell'amore; eppure si continua ad avere speranza, fede nella fratellanza e nell'amore divino, mentre giù nella valle si continua un'assurda guerra che toglie a quel giorno di gloria tutta la sua sacralità. Il Dies irae ritorna, in maniera ancora più drammatica, durante il terribile bombardamento finale. Gli alleati scaricano le loro bombe dal cielo e il Monastero, unico rifugio sicuro per i civili, si trasforma in un'immensa tomba coperta da macerie. Nella cripta si trovano alcuni civili e un confratello che, riuscito a recuperare le ostie sacre, gli chiede di comunicarsi tutti, invocando il perdono di Dio. E' allora che un coro potentemente espressivo e accompagnato dagli archi si impone, quasi, all'assordante rumore delle bombe fischianti; sono momenti terribili dove vediamo questi pochi uomini pregare profondamente Dio, mentre sta succedendo il finimondo. Il coro, pur venendo da musica esterna, rappresenta la loro anima che invoca il perdono un momento prima di cadere sotto le pietre della chiesa sacra. In altri momenti ancora è dato vedere il compiacimento di Lualdi nell'usare forme e melodie medievali. E' così che egli fa uso, in maniera sempre funzionale alle immagini, della forma a Canone. Esso è un procedimento contrappuntistico, fondato sull'imitazione, di cui rappresenta la forma più rigorosa. Il Canone è costituito, infatti, dall'imitazione rigida e continua tra due o più parti che, entrando successivamente, procedono per intervalli identici sino alla fine della composizione. Non vi è limite per il numero delle parti. La parte che espone il motivo melodico è detta antecedente, quella o quelle che imitano conseguenti. Il conseguente può rispondere all'antecedente a partire da qualsiasi intervallo: canone alla seconda, alla terza, alla quinta, ecc. Per capirci meglio chiamiamo in causa la conosciutissima Fra' Martino campanaro che è appunto l'esemplificazione stessa della musica a canone. Questa forma la troviamo quando vediamo i soldati tedeschi ordinare l'evacuazione dall'infermeria dell'Abbazia. Tutti devono andare via, compresi i malati più gravi, perchè la guerra non può permettere sentimentalismi. Udiamo allora un semplicissimo, ma bellissimo canone musicale: da ottave più basse a ottave più alte, gli archi, alternativamente, si producono in una incisiva melodia. La melodia è sempre la medesima, solo che è suonata ad un'ottava più alta e da un diverso strumento della famiglia degli archi, formandosi in un contrappunto drammatico che ben ci spiega e chiarifica le immagini. Adriano Lualdi si dimostra musicista capace in questo suo unico lavoro per il cinema. Unico purtroppo, poiché è il solo film ch'egli abbia musicato in tutta la sua vita, dimostrandosi musicista carico d'espressività e di senso artistico, promuovendo una musica apprezzabilissima sia sotto l'aspetto funzionale, sia sotto quello puramente estetico. Egli riesce ad individuare forme e musiche che ben rievocano l'età medievale, ove lo spirito viene considerato con la sua valenza assoluta, universale, capace di ricucire sempre le gravi ferite della storia. Solo la fede nello spirito è riuscita infatti a far sì che l'Abbazia di Montecassino, completamente distrutta, tornasse a vivere nel suo splendore sacrale. Messaggio e musica del film insomma coincidono come contenuto e forma. Solamente in alcuni punti la musica diviene semplice colore e cornice; tuttavia sono moltissime le scene centrate alla perfezione nel loro riscontro musicale. Anche l'uso di elementi non appartenenti alla musica rafforza la bravura di un musicista che, comunque, al cinema ha partecipato una sola volta: così è, per esempio, l'impiego realistico del vento dopo la demolizione totale del Monastero. Esso è lì l'unico vero vincitore, si abbatte fortemente a rialzare le polveri delle macerie, mentre i pochi superstiti si aggirano sconsolati nella ricerca dei loro cari. E' l'angelo sterminatore giunto sulla terra per spazzare via l'uomo, un uomo che non è degno di vivere. Ogni altro elemento sonoro sarebbe risultato vano, fuori luogo. La scelta di creare (o meglio ricreare) con tensione culturale quella musica spirituale che è propria del Medioevo non lascia adito a dubbi di alcun genere sulla sua funzionalità con le immagini. Quest'ultime ricevono costantemente l'eco poetico-lirica della musica, accentuando al massimo grado la loro potenza espressiva e penetrante.
Gianluca Nicastro (31.1.'10)
Segue nel prossimo numero!
Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del
dopoguerra italiano